DA “IL NASTRO AZZURRO” n°5-2012
La carriera militare del generale d’artiglieria Nicola Russo, Medaglia d’Oro al Valor Militare, nato a Rionero in Vulture, il 22 ottobre 1897, ebbe inizio nel 1917 in Albania dove partecipò, con spiccato impegno, a numerosi combattimenti in zona di operazioni. Nel 1920, dopo il congedo, viene premiato con la Croce al Merito di Guerra.
Russo fece ritorno a Rionero, ottenendo la cattedra di insegnamento a Ripacandida, tra il 1923 e il 1925. Nel 1925 rientrò nell’esercito e fu assegnato, col grado di tenente, al 2° Reggimento Artiglieria a Pesaro, dove si qualificò per le sue eminenti qualità intellettuali, professionali, di comportamento e fisiche. Qualità confermate in tutta la carriera militare.
Il Tenente Russo fu quindi Istruttore a Modena, presso la Scuola Sottufficiali d’Artiglieria, e poi a Nocera Inferiore (SA) che, nell’ottica di quella saggia politica di integrazione nazionale, ospitava soprattutto allievi delle regioni settentrionali. A Nocera, merito lusinghieri giudizi con la massima classifica e l’elogio per le attività di alto rilievo svolte.
Per quella discriminante, ingiusta e demagogica legge sul celibato, soppressa finalmente nel l945, fu promosso Capitano soltanto nel I933 e destinato al Comando di una batteria presso l’11° Reggimento Artiglieria da Campagna a Novi Ligure. Partecipo, volontario, con il l° Corpo d’Armata, alle operazioni in Africa Orientale, col rischioso e delicato incarico di Capo Pattuglia, operando sulle più avanzate linee di combattimento e partecipando all’occupazione delle città di Adigrat, Macallé, Arnba Alagi, Quoram e Dessiè.
Al rientro, ottenne una seconda Croce al Merito di Guerra e fu assegnato quale Comandante di Batteria alla Scuola Centrale di Artiglieria di Civitavecchia, ambiente di studi e di applicazioni ad alto livello, dove si qualificò per la perfetta conoscenza dei materiali e del loro impiego in campo tattico nonché per il concreto apporto di esperienze alle nuove tecniche, riconosciutogli da un particolare elogio del Ministro della Guerra.
Costituitosi a Bracciano il 52° Reggimento di Artiglieria, prima unità motorizzata, col grado di maggiore, egli fu nominato Comandante del l° gruppo (distinto con il suo nome nelle operazioni sul campo) del Reggimento, e fu aggregato alia Divisione di Fanteria “Torino”, citata ripetutamente nei bollettini della seconda guerra mondiale.
Partecipo alle operazioni belliche sul fronte occidentale della Balcania e, dal 1941 a tutto il 1942, alla Campagna di Russia, divenendo da Colonnello il comandante interinale del 52° Reggimento Artiglieria, il cui stendardo fu Decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Protagonista, con i suoi fieri e valorosi artiglieri, di tutti i combattimenti che videro La Divisione “Torino” impegnata nella rapida e vittoriosa avanzata offensiva verso il Don. I bollettini dal fronte e le tante Decorazioni che lo onorano, ne testimoniano la capacità operativa e strategica, il coraggio e soprattutto la compattezza che sapeva creare nell’ambito del suo campo d’azione.
Nella piana del Don, dopo accaniti scontri alla baionetta, per rompere l’accerchiamento delle soverchianti forze nemiche, comandate dal Generale Georgiy Zukov (l’artefice della vittoria sulla Germania), e dando prova ancora una volta delle sue alte doti militari nella difesa di uomini e mezzi, fu preso prigioniero con le armi in pugno.
La funesta “marcia della morte” nella sterminata gelida steppa russa, il freddo siberiano, le inenarrabili fatiche, la scarsa vestizione, la fame, i gravi malanni, lo spettro di un futuro ignoto, i nemici incalzanti, disseminarono nel fango e nella neve migliaia e migliaia di combattenti e di mezzi. Seguirono per i sopravvissuti, mesi ed anni di buio completo.
Trascorse dodici lunghi anni in campi di prigionia, sempre più duri ed inumani, tra promesse e speranze deluse, lunghe veglie di forzata inerzia, riempite dai nostalgici ricordi dell’Italia, dei luoghi cari, dei familiari e degli amici, degli studi abbandonati e dei sogni svaniti. Giorno dopo giorno, fu messa a dura prova la sua spiccata personalità di soldato, di uomo dalla forte tempra e dall’indomito carattere, senza altro sostegno che una fede profonda dalla quale attingeva forza per il deciso, dignitoso e sereno comportamento di fronte alla cruda realtà.
ln questo clima umiliante e repressivo, e ritenendosi solo un soldato sfortunato, pienamente consapevole di avere assolto con coscienza i suoi onerosi impegni, non si piegò mai ad angherie, soprusi, minacce e lusinghe, né alla propaganda disfattista del nemico, che non si faceva scrupolo di calpestare la dignità dei
prigionieri, privandoli anche di notizie e del contatto epistolare con le famiglie lontane, che per anni furono all’oscuro completo del destino suo e degli altri commilitoni. E’ opportuno ricordare che la Russia non aveva riconosciuto la Convenzione di Ginevra, né l’opera della Croce Rossa.
Il carisma di capo morale sul campo di lotta e nei campi dove transitò, testimoniato altresì dai prigionieri di altre nazioni, rimpatriati prima degli italiani, e dai quali la famiglia seppe dopo molti anni della sua sopravvivenza, non gli derivava dall’autorità dell’alto grado, ma dalla capacità di saper affrontare, nello sbandamento generale, anche le situazioni più tragiche, di assumersi responsabilità in prima persona, di sfidare, tante e ripetute volte, gli aguzzini come quando, nell’infernale campo n° 176 nella taiga, oltre Kazan, protestò fermamente per una ingiusta e crudele punizione inflitta ad un collega e per i volgari insulti all’onore del soldato italiano, minacciato di morte, fermo e deciso si diresse verso i reticolati offrendo il petto alle baionette delle sentinelle pronte a far fuoco.
E come non ricordare lo sdegnato, deciso e rischioso rifiuto opposto al comandante russo che, con beffardo cinismo, pretendeva che gli italiani partecipassero alla celebrazione della vittoria russa, mentre “… piangiamo per la nostra Patria e le nostre famiglie che stanno vivendo un tragico momento?…”.
Al mutato clima politico internazionale, dopo dodici anni, non da prigioniero come si credeva, ma da inconsapevole “ostaggio” a causa di un difficile e delicato contrasto diplomatico tra i governi (secondo quanto si è appreso dagli archivi segreti russi, recentemente aperti all’informazione pubblica), il generale Nicola Russo poté baciare a Udine il sacro suolo della Patria: era il febbraio del 1954.
Con lui altri 26 ufficiali e, tra essi, il cappellano militare don Giovanni Brevi (don Franzoni era tornato nel 1946) che lo ebbe sempre al suo fianco per la difesa dei valori umani e cristiani, solo sostegno per i sopravvissuti e viatico pietoso per i moribondi nel deserto spirituale sovietico.
Il l7 dello stesso mese fece ritorno al suo paese natale, accolto caldamente dalla folla, e tenne un discorso in Piazza Giustino Fortunato. Visse per un breve periodo a Rionero per poi ritornare a Roma dove si ricoverò e, tornato in salute, riprese servizio, ottenendo la promozione a generale.
Sottraendosi alle sollecitazioni della stampa e al particolare clima politico dell’epoca, non ci furono da parte sua critiche, recriminazioni, denunce: da autentico militare e sereno osservatore storico ne fece destinatari gli alti organi istituzionali. Rimase profondamente turbato, però, dalla cinica freddezza che una parte dell’opinione pubblica (e non solo) riservò alla tragica vicenda della campagna di Russia, e soprattutto dal “tabù” per il tragico destino di migliaia di giovani eroi mai più tornati a casa.
Impegnò il tempo che la salute minata gli concesse, a raccogliere notizie, così come aveva fatto nei campi di prigionia, a ricevere i familiari dei combattenti, a rispondere
di suo pugno alle accorate richieste delle famiglie e, presso gli organi militari e politici, sollecitando calorosamente e animando iniziative atte a rompere quell’inumana cortina di silenzio sul sacrificio di tutti quei giovani immolatisi da eroi in terre sconosciute e lontane, considerati “Dispersi”, qualifica ritenuta da lui, testimone vivente, “…ingiusto e ambiguo …”, che, se pietosamente accettata dalle mamme, nel cui cuore poteva servire ad alimentare un barlume di speranza, risultava nella realtà irrazionale e anacronistica per la tragicità degli eventi vissuti e per il lungo tempo trascorso.
Da primo Presidente dell”‘Associazione Nozionale Reduci di Russia” si impegnò con decisione per promuovere la collocazione dei campi di battaglia e, con il ricordo mnemonico dei pochi sopravvissuti, individuare le località dove gli sfortunati compagni erano stati pietosamente composti, per dare, dove possibile, un nome, una croce, un fiore a quei resti sacri per tutti gli italiani. Questo essenziale momento si realizzò dopo la sua scomparsa con l’istituzione dell’Alto Commissariato Onoranze ai Caduti.
Con il fattivo e generoso impegno del generale Gavazza, nel tempo, la Patria ha accolto le salme di molti militari e localizzato le zone di sepoltura e di combattimento che consentono oggi ai familiari pietosi pellegrinaggi. Finalmente lapidi, ceppi e monumenti sorti nei paesi da cui erano partite tante giovinezze, fanno memoria di quell’epica, sfortunata impresa di cui migliaia e migliaia di italiani furono vittime sacrificali.
Il generale Nicola Russo morì a Roma il 20 aprile 1959. Nel decennale della sua morte, l’allora sindaco di Rionero, Enzo Cervellino, fece erigere in Piazza Giustino Fortunato una lapide con medaglione in suo onore, realizzata negli stabilimenti “Ludovica Bertoni” di Pietrasanta (Lucca). La lapide riporta la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare di cui il generale Russo era fiero, essendo in essa sottolineato l’eroico comportamento dei suoi artiglieri:
“… fece della propria unità un forte ed agguerrito strumento di lotta che conservò nel logorio di un lungo estenuante ripiegamento, intatta la coesione disciplinare e la capacità operativa …”
INSIEME NELLA LOTTA, NELLA MEMORIA,
NEL CIELO DEGLI EROI!
Caterina Libutti Cicchelli (Nipote del Gen. Russo)
DECORAZIONI
Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Comandante di un gruppo di artiglieria particolarmente impegnato ed esposto, con l’esempio e l’ascendente personale fece della propria unità un forte ed agguerrito strumento di lotta che, anche nel logorio di un lungo, estenuante ripiegamento, conservò, per suo merito e nonostante quotidiane sanguinose perdite, intatta la coesione disciplinare e la capacità operativa. Catturato e sottoposto, per la fierezza del carattere e l’inflessibile attaccamento al dovere ed all’onore militare, a inenarrabili patimenti e privazioni, per oltre undici anni di prigionia seppe apporre alle più allettanti lusinghe ed alle più crudeli minacce e sevizie la dirittura del contegno, la cosciente indifferenza al sacrificio della vita, la completa dedizione di tutto se stesso alla Patria lontana ed alle sue istituzioni. Col suo fiero contegno fu per i compagni di prigionia simbolo delle più elette virtù di uomo e di soldato e per gli stessi nemici esempio di incorruttibile rettitudine e di fulgido valore.» Russia, 1942 – 1954.
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Valoroso comandante di un gruppo di artiglieria, già distintosi in 18 mesi di dura e sanguinosa campagna di guerra. Catturato, nel corso di aspra battaglia e trascinato in prigionia, resisteva fieramente, tra fatiche, patimenti e privazioni inenarrabili, al dolore, alle minacce, alle lusinghe; meraviglioso esempio a tutti di cosciente abnegazione spinta sino al sacrificio. Inviato in un infernale campo di punizione manteneva integro il nome e l’onore di uomo e di soldato. In difesa di collega ingiustamente punito protestava energicamente e poiché il comandante del campo offendeva l’onore degli ufficiali italiani, si scopriva il petto e offrendo la vita in olocausto, si dirigeva a passo fermo verso i reticolati sfidando, con superbo coraggio, i mitra delle sentinelle. Col suo fiero contegno si imponeva non soltanto all’ammirazione dei prigionieri di varie nazionalità ma anche al rispetto dell’avversario.» Campo di prigionia in Russia, 1942-1950.
Croce di Guerra al Valor Militare
«Comandante instancabile ed ardito di gruppo, nel corso di una violenta azione nemica, vista colpita una sua batteria da intenso fuoco che provocava vittime tra i serventi, interveniva prontamente infondendo calma e coraggio ai suoi artiglieri. Già distintosi per spirito combattivo e sprezzo del pericolo.» Dijewka-Rikovo (fronte russo) settembre-18 dicembre 1941.
Croce di Guerra al Valor Militare
«Comandante di un gruppo di artiglieria nel corso di un contrattacco nemico dirigeva con calma il fuoco delle sue batterie, ed accorso dove più pericolosa si profilava la minaccia, incitava con l’esempio e la parola i propri dipendenti ponendo egli stesso in azione un’arma automatica.»
— Malo Orlowka (fronte russo), 26 dicembre 1941.