Da “IL NASTRO AZZURRO” n° 2-2011
“il più alto eroismo è combattere sino in fondo una battaglia che si sa fin dall’inizio perduta” Dino Buzzati
LA BATTAGLIA DEI CONVOGLI SULLA “ROTTA DELLA MORTE”
Gli eventi bellici in Africa Settentrionale si svolsero nei primi due anni di guerra con alterne fortune, finché la battaglia di El Alamein (23 ottobre – 3 novembre 1942) segnò il rapido declino delle forze dell’Asse in Africa Settentrionale, che sotto la pressione della vittoriosa avanzata della VIII armata britannica comandata dal generale Montgomery dovettero ritirarsi a partire dalla Cirenaica. Dopo l’invasione angloamericana del Nord Africa francese, iniziata l’8 novembre 1942 con gli sbarchi in Marocco e in Algeria (Operazione “Torch”), le superstiti truppe italo-tedesche, attaccate su due fronti, dovettero abbandonare anche la Tripolitania e ripiegare in Tunisia. La Regia Marina ebbe allora il compito di assicurare i rifornimenti a quell’ultima testa di ponte italo-tedesca in Nord Africa. Da metà novembre 1942 fino a metà maggio 1943, quando divenne impossibile proseguire la resistenza, il porto di Biserta fu il capolinea di quella che, per la sua pericolosità, venne chiamata la “Rotta della Morte” dove gli aerosiluranti e le navi da battaglia inglesi, dotate di sofisticati sistemi radar operavano anche di notte.
Tra le insidie presenti lungo la “Rotta della Morte” vanno inoltre ricordati gli sbarramenti di mine, in gran parte posati dalla stessa Marina italiana tra la Tunisia e la Sicilia occidentale. I passaggi lasciati vennero successivamente ostruiti con mine deposte in gran numero dai posamine britannici. Nonostante le enormi difficoltà, il traffico con la Tunisia fu intenso. Nei sei mesi tra l’11 novembre 1942, giorno di partenza da Napoli del primo convoglio, e il 4 maggio 1943, quando giunse a Tunisi l’ultimo, la Marina organizzò 276 convogli, che subirono uno stillicidio di perdite quasi quotidiano, con un totale di 101 navi mercantili andate perdute in mare. Secondo le statistiche, dei 77.741 militari trasportati ne giunsero a destinazione 72.246, con perdite del 7%. Delle 433.169 tonnellate complessive di carichi partiti ne arrivarono 306.537. Andò perduto il 29% dei carburanti inviati, il 20 % degli automezzi, il 32% del materiale d’artiglieria e delle munizioni, il 30% degli altri carichi. Nonostante la grande inferiorità di uomini, materiali e mezzi non potesse più lasciar dubbi sull’esito sfavorevole della guerra, la gente di mare italiana continuò a combattere con caparbia tenacia, sostenendo <<l’urto delle forze nemiche con tanta indomabile fierezza>>.
LA TORPEDINIERA”URAGANO”
A partire dalla meta del 1942 cominciarono a entrare in servizio le navi avviso scorta della classe “Ciclone”, poi riclassificate come torpediniere di scorta- Esse erano più agili dei cacciatorpediniere e munite di più moderne apparecchiature ed armi per la guerra ai sommergibili e la difesa antiaerea del traffico mercantile. Alla nuova classe “Ciclone” apparteneva anche la torpediniera “Uragano”, protagonista di questa storia. L’armamento dell’Uragano” era costituito da 4 tubi lanciasiluri da 450 mm in complessi binati, 4 lanciabombe di profondità antisommergibili, 2 cannoni da 100/47 singoli, 8 mitragliere da 20/70 binate e 2 singole. La nave era anche attrezzata per trasporto e posa di 20 mine. Le apparecchiature di ricerca e localizzazione per la guerra subacquea comprendevano lo scandaglio a frequenza acustica tipo “Safar”. L’equipaggio era formato da 7 ufficiali e 170 tra sottufficiali e marinai comuni.
Nato a Bologna il 14 luglio 1909, Luigi Zamboni era divenuto guardiamarina nel 1929. Nel 1934, dopo la promozione a tenente di vascello, imbarcò sull’incrociatore leggero “Muzio Attendolo”, dove divenne 1° direttore del tiro e vi rimase ininterrottamente in servizio fino all’estate del 1942, raggiungendo il grado di capitano di corvetta. Sull’Attendolo Luigi Zamboni meritò due Croci di Guerra al Valor Militare. Nel settembre 1942 assunse il comando della torpediniera “Uragano” che, dopo un addestramento accelerato di poco più di un mese, fu assegnata alla 2^ Squadriglia Torpediniere di Scorta, con la quale svolse ben ventidue missioni di scorta convogli in acque greche, tra la Grecia e l’Africa Settentrionale e infine tra i porti nazionali del Tirreno Meridionale e la Tunisia. L’Uragano sostenne numerosi combattimenti contro forze subacquee ed aeree nemiche ed abbatté un aeroplano. Nella notte tra il 22 e il 23 novembre, 1942 nel Tirreno Meridionale tentò una manovra di speronamento di un sommergibile avversario che procedeva in emersione. A causa di un attacco aereo mentre era nel porto di Sebra subì numerose perdite fra l’equipaggio.
L’ULTIMA MISSIONE DELL’URAGANO
Il 3 febbraio 1943 la torpediniera “Uragano” salpò per la sua ventiduesima missione, l’ultima, per scortare lungo la rotta da Biserta a Napoli la motocisterna “Thorsheimer”, nave norvegese di 9.955 tonnellate requisita a Genova allo scoppio delle ostilità e di fondamentale importanza per i rifornimenti del fronte nord africano, al punto che le unità incaricate della sua scorta erano ben cinque: la torpediniera “Sirio”, che guidava il convoglio, il cacciatorpediniere “Saetta” e le torpediniere “Uragano”, “Monsone” e “Clio”. Il convoglio salpò da Biserta alle 5.30 del 3 febbraio 1943, con mare molto agitato. Alle 8.17 “Monsone” e “Uragano” comunicarono che la ricerca ecogoniometrica era molto disturbata a causa del mare forza 4 – 5. Infatti lo scandaglio a frequenza acustica tipo Safar non riusciva a dare indicazioni quando la nave subiva rollio e presentava echi accessori che creavano confusione. Era quindi arduo in quelle condizioni poter individuare le mine nemiche che insidiavano quel tratto della rotta. Alle 9.38, sul punto a Latitudine 37° 35′ Nord e Longitudine 10° 37′ Est dal convoglio notarono una enorme colonna d’acqua e di fumo innalzarsi a poppa dell”‘Uragano” che, privo di una parte della poppa, si fermò e non rispose più alle chiamate radio. L’ufficiale in seconda riunì a prua l’equipaggio e fece mettere a mare i mezzi di salvataggio. A causa delle onde le due imbarcazioni di cui era dotata la nave si rovesciarono subito. Sulle cinque zattere in dotazione, che restarono a galla, presero posto sottufficiali e comuni che si erano buttati in mare. Tutti gli ufficiali, tranne quello di rotta, rimasero a bordo con il Comandante, che fu visto sulla plancia sino a quando le zattere non si allontanarono dalla nave a causa dello scarroccio. Alle 9.40 il comandante del convoglio, aveva ordinato al “Saetta” e al “Clio” di prestare assistenza all”‘Uragano”, il comandante del “Saetta”, l’espertissimo capitano di corvetta Enea Picchio, che dirigeva la manovra, rallentò a mezza forza e cominciò ad accostare con tutta la barra a sinistra, ma poté giungere solo a circa duecento metri a poppa dell”‘Uragano”, che nel frattempo con le macchine ferme e di traverso al mare aveva scarrocciato verso Sud Est, avvicinandosi ai campi minati italiani. Alle 9.48 una violentissima esplosione al centro dello scafo spezzò il “Saetta” in due tronconi provocando una gigantesca colonna d’acqua mista a nafta, vapore e fumo. I superstiti, sentita la poppa che si alzava e udito l’ordine del Comandante e del Direttore di Tiro di abbandonare la nave, si buttarono subito in mare e si aggrapparono alle zattere che già si trovavano in acqua, cercando di allontanarsi per non essere colpiti dalle sovrastrutture della plancia e dell’albero di prua che si stavano abbattendo in mare. La prora e la poppa si sollevarono e in circa 50 secondi si infilarono in acqua e si inabissarono. Tra i naufraghi del “Saetta” interrogati tre giorni dopo che erano portati in salvo a Biserta, nessuno seppe dare notizie del Comandante. Alcuni dei naufraghi dell”‘Uragano” riferirono invece di aver visto il comandante del “Saetta” «sulla plancia nel momento in cui affondava la nave, nell’atteggiamento del saluto romano.” Alle 9.50 il “Clio” comunicò che il “Saetta” aveva urtato contro una mina. Il Comandante del convoglio gli ordinò di fermarsi e recuperare i naufraghi col battello. Le altre unità continuarono la navigazione. Dieci minuti dopo il Comandante del convoglio, constatato che a causa del mare e del vento il “Clio” non poteva far nulla, gli ordinò di interrompere i soccorsi e di seguirlo nella scia. Alle 9.55 dal convoglio venne comunicato al Comando Superiore della Regia Marina (“Supermarina”) che il “Saetta” era affondato e che, a causa del mare forza 5 e del vento, non era possibile dare alcuna assistenza ai naufraghi. Alle 10.00 il convoglio assunse la formazione in linea di fila, per poi passare a quella per file parallele, con il “Monsone” davanti, il “Sirio” a sinistra e il “Clio” a dritta della petroliera. Alle 12.05 il Comandante del convoglio informò Supermarina della criticissima situazione della torpediniera “Uragano” e chiese a Biserta di inviare mezzi di soccorso. Alle 12.20 dal convoglio venne avvistata una formazione di 11 bombardieri e aerosiluranti nemici, scortati da 4 caccia, che cinque minuti dopo attaccarono. Intercettati dagli aeroplani tedeschi di scorta e bersagliati dal fuoco dei cannoni e dalle mitragliere delle navi, gli attaccanti perdettero un aereo, che cadde in mare. Il convoglio ricevette alle 13.33 l’ultimo messaggio radio dell”‘Uragano”, che comunicava la sua criticissima posizione.
Spesso le navi che urtavano una mina o venivano colpite da un siluro si inabissavano repentinamente, talora in meno di un minuto, come accadde al “Saetta”. Invece l’Uragano” si mantenne a galla per circa quattro ore, sia pur precariamente, mentre <<dal posto di comando, serenamente, il Comandante impartiva tutte le necessarie disposizioni prima per tentare di salvare la nave e quando, dopo lunghe ore di lotta, non fu più possibile contenere le vie d’acqua, disponeva l’imbarco della gente sulle zattere di salvataggio mentre egli, unitamente agli ufficiali del suo Stato Maggiore che non lo vollero abbandonare, si inabissò con l’unità al suo comando>> secondo le più alte tradizioni della Marina. Aveva 33 anni.
Non sopravvisse alcuno dei marinai a bordo dell’Uragano” che potesse narrare gli ultimi istanti di vita del Comandante. La sorte aveva deciso che la morte non avrebbe colto Luigi Zamboni fulminea e ineluttabile per mezzo di un ben centrato colpo d’artiglieria durante il divampare di uno dei tanti violenti combattimenti in cui aveva diretto il tiro dei grandi cannoni di un incrociatore. La sorte, invece, prima che la torpediniera “Uragano” si inabissasse, gli concesse quattro ore di tempo per decidere se fosse giunto il giorno di rinunciare alla sua ancor giovane vita per mantenere la fedeltà alla nave fino all’estremo sacrificio di colare a picco con essa.
Quali siano stati in quelle ore i suoi pensieri avrebbe potuto immaginarlo solo il giornalista e scrittore Dino Buzzati, per tre anni imbarcato sugli incrociatori come corrispondente di guerra del “Corriere della Sera”, che nelle sue cronache di battaglia sul mare seppe «essere epico usando parole dimesse» e “illuminare di luce straordinaria un personaggio, si trattasse d’un Comandante o si trattasse del più umile marinaio”. Per il suo spiccato senso di disciplina e del dovere, e più ancora per la “concezione aristocratica che egli aveva del coraggio, inteso come applicazione estremo e se del caso stoica del proprio dovere”, egli avrebbe forse immaginato il comandante Zamboni mentre si aggirava per la nave “cercando se qualche ferito fosse rimasto ancora a bordo” e infine mentre faceva in direzione dei naufraghi un cenno con la mano. Un cenno di saluto che insieme voleva significare: andassero pure, non si preoccupassero di lui, quello era il suo posto e non lo avrebbe per nessun prezzo lasciato».
Ciò che restava del convoglio, alle 12.50 del 4 febbraio 1943 entrò finalmente nel porto di Napoli. L’Ammiraglio Comandante la Marina Militare incaricò il capitano di fregata Luigi Ronca di svolgere l’inchiesta sull’affondamento dell’r. c. t. “Saetta” e della r. t. “Uragano”. Le deposizioni dei superstiti della torpediniera “Uragano”, che erano stati soccorsi il giorno dopo l’affondamento della loro nave e portati a Biserta, furono registrate nel verbale di interrogatorio. I naufraghi testimoniarono che il comandante Zamboni era rimasto sulla plancia insieme agli ufficiali, tra i quali l’Ufficiale in seconda, gravemente ferito a una gamba dall’esplosione, e dichiararono di ritenere che essi fossero affondati con la nave, ad eccezione dell’ufficiale di rotta che era stato visto su uno zatterone di cui ignoravano la sorte. I naufraghi dichiararono di aver perduta di vista la loro nave verso mezzogiorno. Sino a quell’ora ne avevano visto l’albero apparire fra le onde mentre le tre zattere di salvataggio si allontanavano spinte del forte vento. Il Comandante della la Flottiglia Siluranti di Scorta, capitano di vascello Tagliamonte, a conclusione del Rapporto di navigazione (che tra gli allegati comprendeva i verbali delle comunicazioni scambiate con l’Uragano” e i verbali di interrogatorio dei naufraghi) dichiarò che dai segnali scambiati con l’Uragano” egli aveva “tratto la certezza, a conferma delle impressioni già riportate nei frequenti contatti avuti con il Comandante Zamboni, che egli, sino all’ultimo, ha mantenuto inalterata la calma e che le sue particolari doti di forza d’animo e di sereno spirito di sacrificio hanno rifulso nel sinistro della sua unità” Il comandante Tagliamonte terminava il rapporto chiedendo che gli fosse «concessa l’autorizzazione, ad inchiesta sull’affondamento terminata, di prenderne visione per poter proporre il Comandante Zamboni per una decorazione al valore”. La proposta fu poi presentata e con Decreto Presidenziale datato 1° settembre 1949 venne conferita alla memoria del capitano di corvetta Luigi Zamboni la più alta Decorazione, al Valor Militare.
Adolfo Zamboni
“Poi le acque tornarono buie e silenziose, mentre l’anima compiva il viaggio degli eroi” Dino Buzzati
Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Valoroso comandante di torpediniera, già distintosi in precedenti azioni di guerra, eseguiva numerose scorte di convogli nazionali sulle ardue rotte del Canale di Sicilia aspramente contrastate dall’avversario, dimostrando sereno coraggio ed elevate doti di comando. Avuto ordine di riportare in Patria, a qualunque costo, una grossa petroliera, malgrado le avverse condizioni di mare, attraversava arditamente – quale unica via possibile – zona minata dal nemico compresa fra imponenti sbarramenti di mine nazionali. Colpita e gravemente danneggiata la sua unità da improvvisa esplosione di arma subacquea, rimasto in balia delle onde e sospinto dal vento e dalla corrente sui vicini sbarramenti, si prodigava serenamente fino all’estremo limite delle umane possibilità per mantenere la calma e la fiducia nei suoi uomini e per fronteggiare la gravissima situazione. Quando, dopo lunghe ore di lotta, non era più possibile contenere le vie d’acqua che minacciavano di sommergere l’unità, disponeva l’imbarco della gente sulle zattere di salvataggio mentre egli, unitamente ai suoi ufficiali che trascinati dal suo esempio non lo vollero abbandonare, rimaneva sulla sua Nave per dividerne la sorte. Nell’improvviso precipitare degli eventi si inabissava con il suo Stato Maggiore in quelle acque che aveva conosciuto il suo costante ardimento, lasciando fulgido esempio di eroica abnegazione e di sublime attaccamento al dovere ed alla nave posta al suo comando. Canale di Sicilia, 3 febbraio 1943.»
Croce di Guerra al Valor Militare
«1° Direttore di tiro di un incrociatore, in lungo ed intenso periodo di attività bellica dava opera appassionata per la migliore efficienza dell’importante servizio a lui affidato, riuscendo di esempio e di sprone al personale dipendente. In occasione di scontri col nemico, e nel corso di numerose missioni dimostrava costante, grande serenità, fermo coraggio ed elevato spirito combattivo. Mediterraneo centrale, giugno 1940-giugno 1941.»
Croce di Guerra al Valor Militare
«1° Direttore di tiro di un incrociatore assolveva l’importante compito affidatogli con elevata capacità e perizia ottenendo con le sue doti organizzative e la solida preparazione professionale la costante efficienza del servizio artiglieria dimostrata in numerose azioni belliche alle quali partecipava con l’unità. Mediterraneo, giugno 1941 – aprile 1942.»