Francesco Maria Atanasio
Si deve al recente studio di Giancarlo Falanga sull’ambasciatore Luca Pietromarchi 1 l’acquisizione di nuovi e documentati dati sulla più vasta operazione di salvataggio degli ebrei attuata per iniziativa della diplomazia e delle Forze armate del Regno d’Italia durante la II guerra mondiale : l’autore vi è riuscito grazie alla consultazione dell’archivio privato della famiglia dell’ambasciatore, che ha incrociato con l’edizione critica dei diari personali dello stesso per gli anni 1938-1940, curata da Ruth Nattermann 2, e i Documenti diplomatici italiani della serie VIII e IX, pubblicati nel 1952. Il tema, quanto mai complesso, era già presente nelle principali opere sull’Olocausto: George L. Mosse nel suo studio Il razzismo in Europa 3 aveva rilevato che “…Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo”, mentre lo storico Leon Poliakov, uno dei massimi conoscitori e storici dell’Olocausto, ebbe a riconoscere che “ovunque penetrassero le truppe del Regio Esercito, uno schermo protettore si levava di fronte agli Ebrei, che li salvaguardava sia dai lacci del IV b. che dai massacri e dalle deportazioni dei Quisling locali” 4.
Un’anticipazione di quanto avrebbe operato la diplomazia italiana si era concretizzata a Varsavia all’indomani dell’occupazione della Polonia da parte dei tedeschi. Nel dicembre 1939 erano rientrati nella capitale polacca il primo segretario dell’Ambasciata Mario Di Stefano e il secondo consigliere Giovanni Soro: autorizzati a risiedervi solo per tre giorni al fine di chiudere formalmente la sede diplomatica e definire alcuni adempimenti burocratici, vi rimasero al contrario fino al marzo del 1940 quando lo stesso Hitler ne chiese l’allontanamento a Mussolini nel corso del loro incontro al Brennero. La loro azione 5 ebbe a indirizzarsi a favore di cittadini polacchi ed ebrei già sottoposti alle efferate misure coercitive degli occupanti tedeschi: furono concessi “visti di transito” a quanti si presentavano a Palazzo Szlenkien, sede dell’ambasciata del Regno d’Italia, e poiché il tempo stringeva e il numero dei richiedenti cresceva a dismisura vennero in seguito compilati dei “passaporti collettivi” per lasciare la Polonia. I due giovani diplomatici agirono con l’autorizzazione dell’ambasciatore italiano a Berlino, Bernardo Attolico, e dello stesso ministro degli esteri, Galeazzo Ciano, che fece conoscere la sua approvazione per il tramite di Luigi Vidau, Capo ufficio IV Direzione Affari Generali a Palazzo Chigi. Di Stefano e Soro riuscirono a far espatriare in direzione della Palestina il rabbino capo della Polonia, Alter, assieme a un suo numeroso gruppo familiare ottenendo al riguardo il diretto appoggio di Mussolini. Le loro quasi rocambolesche vicissitudini furono rese note da Luciana Frassati nel suo volume autobiografico Il destino passa per Varsavia, edito nel 1949 e poi riedito nel 1985 con la prefazione di Renzo De Felice, preziosa testimonianza degli equilibri interni ed internazionali dell’Italia del tempo, che sfata gli innumerevoli luoghi comuni su Palazzo Venezia e i ceti dirigenti nazionali 6.
All’azione di salvataggio degli ebrei da parte dei diplomatici e dei militari italiani dava ampio spazio lo storico israeliano Daniel Carpi 7 nel corso del 2 Convegno internazionale di Yad Vashem nel 1977 e poi uno dei sopravvissuti, Menachem Shelah nel suo saggio Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti fra l’Esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia del 1991 (ripubblicato nel 2009 per iniziativa dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito). Esisteva anche una produzione memorialistica, alquanto discreta in ragione anche della scelta da parte di chi si prodigò a favore degli Ebrei di osservare il più rigoroso silenzio: ma molto vi è ancora da scoprire se è vero che solo nel 2008, ad esempio, per l’interessamento della Ambasciata italiana in Grecia, veniva pubblicato il volume Ebrei di Salonnico 1943. I documenti dell’umanità italiana, a cura di Antonio Ferrari, Alessandra Coppola e Jannis Crifalis, con i telegrammi inviati dalla nostra rappresentanza consolare a Pietromarchi per pianificare il salvataggio degli ebrei. Joseph Rochlitz, figlio di uno degli ebrei salvati in Croazia da questa azione umanitaria e che vive e lavora in Italia, ebbe a produrre un documentario THE RIGHTEOUS ENEMY, che testimonia il comportamento dei nostri diplomatici e militari: nel sito Gariwo – La foresta dei giusti già nel 2005 i figli di Vittorio Castellani – uno dei protagonisti della generosa opera svolta nei Balcani- Maddalena, Giovanni e Maria, lamentavano come pur avendo la Rai acquistato il documentario, trasmesso con successo negli Stati Uniti e in Israele, non lo avesse mai trasmesso e questo nonostante gli esplici inviti farlo dell’allora Presidente della Repubblica Ciampi. 8
Nel 2019 la Fondazione Museo dello Shoah di Roma ha infine promosso in collaborazione con il Ministero degli Esteri la mostra SOLO IL DOVERE, OLTRE IL DOVERE. La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli Ebrei ( 1938-1943): realizzata con un’ampia selezione dei documenti di un fondo ancora inedito della Farnesina, la mostra ha messo in luce il lavoro svolto dalle nostre sedi diplomatiche per informare Roma del sistema persecutorio avviato dal III Reich e dai governi collaborazionisti allo stesso associati e poi l’impegno dei nostri funzionari per salvare dalla persecuzioni gli ebrei italiani residenti all’estero e non solo.
Grazie al lavoro di Falanga si può avere ora una visione di insieme di quest’azione umanitaria, prerogativa non di un singolo diplomatico o di un Comando militare, ma il risultato di un piano “che occupa un posto di assoluto rilievo nella ricca casistica di episodi d’impegno civile, coraggio ed eroismo…per salvare vite umane dal genocidio nazista” 9.
Luca Pietromarchi apparteneva a una famiglia dell’aristocrazia pontificia. Dopo aver partecipato alla Grande Guerra, entra nel 1923 nella carriera diplomatica. Nel 1937 è alla guida del Gabinetto Ufficio Spagna di Palazzo Chigi (dove aveva sede dal 1922 il Ministero degli Esteri), nel 1939 dell’Ufficio Guerra Economica 10 e nel 1941 del Gabinetto Armistizio e Pace per l’amministrazione dei territori assegnati all’Italia nei Balcani e nella Francia meridionale.
Con la dissoluzione del Regno di Yugoslavia e i successivi accordi con la Germania, l’Italia aveva annesso nel 1941 la Slovenia meridionale e la Dalmazia (eretta in Governatorato) ed occupato militarmente il Montenegro e la Grecia centro-meridionale; la Croazia con la Bosnia Erzegovina era stata costituita in Stato autonomo sotto il protettorato italiano, divisa in una zona di influenza tedesca a ovest e in una italiana a est. Sull’ex Stato iugoslavo, precipitato in un magma di di sanguinose e spietate violenze dove si intrecciavano rivolta politica e liberazione nazionale, guerra etnica e ideologica e che vedrà perire c.a. 1.700.000 persone (anche se 600.000 solo dopo l’aprile del 1945 per mano dei partigiani comunisti, oramai padroni del campo…), i tedeschi nella primavera del 1942 avviano nei territori da loro controllati i piani per la deportazione e lo sterminio di massa degli ebrei. Di questa decisione, mai ufficialmente rivelata all’Italia, se ne iniziò ad aver sentore ben presto perché giunsero all’Ufficio di Pietromarchi dispacci che annunciavano un improvviso e sempre più crescente afflusso di ebrei in fuga dalle zone “tedesche” di Croazia, Bosnia-Erzegovina e Serbia per l’inizio delle deportazioni da parte delle milizie croate e delle unità naziste, alla ricerca di protezione in quelle “italiane” e nel Governatorato della Dalmazia: in un dispaccio del 24 giugno 1942 il già citato Vittorio Castellani, ufficiale del R.E. addetto al collegamento fra il Ministero degli Esteri e il Comando della II Armata (l’unità svolgeva compiti presidiari e di controllo dell’ordine pubblico), con sede a Sussak, ed affidato nel marzo al gen. Mario Roatta, rendeva nota l’avvenuta stipula di un accordo segreto fra le autorità croate e i comandi tedeschi per procedere alla cattura e alla deportazione di tutti gli Ebrei, ivi compresi quelli residenti nelle zone occupate dall’Italia.
Il controspionaggio militare italiano, alla pari della nostra Ambasciata a Berlino e delle sedi diplomatiche del Regno ancora aperte nell’Europa occupata dalla Germania, segnalava per il tramite dei Comandi militari il Ministero degli esteri a Palazzo Chigi dell’inizio delle deportazioni degli ebrei anche in Francia e in Olanda.
Il 18 agosto 1942, il consigliere di Legazione Bismark dell’Auswartiges Amt ( il ministero degli esteri) chiese in forma ufficiale a Palazzo Chigi la collaborazione delle nostre Forze Armate nei Balcani e in Francia per “trasferire” gli Ebrei…facendo trapelare che la loro destinazione sarebbe stato il campo di sterminio! A questo punto “scatta l’operazione di sabotaggio burocratico dell’Olocausto nei Balcani, impresa delicata e rischiosa che vide il coordinamento di vari uffici e soggetti amministrativi, diplomatici di carriera in posizione come Pietromarchi, Lanza d’Ajeta, Castellani, Ducci, Casertano, massime cariche dell’esercito, dei Carabinieri e dei servizi segreti quali i generali Roatta, Ambrosio e Giuseppe Pièche…tutti disposti a mettere a repentaglio…le loro stesse esistenze, per non macchiare ulteriormente l’Italia di complicità col crimine della Shoah” 11
Il primo a muoversi è Pietromarchi per le responsabilità apicali del suo Ufficio, che fungerà da centrale di coordinamento per impartire ai nostri rappresentanti diplomatici e ai Comandi militari interessati le necessarie istruzioni. Il 28 agosto 1942 annoterà sul suo diario: “Ho mandato a chiamare Castellani che fa da collegamento col Comando della 2 Armata e ho concordato con lui le modalità per non far consegnare ai Tedeschi gli Ebrei messisi sotto la protezione della bandiera italiana”. Un ruolo di rilievo va riconosciuto anche Luigi Vidau, capo Ufficio IV Direzione Affari Generali, già menzionato, “a cui spettava approvare discretamente le iniziative che la rete diplomatico-consolare attuava in Europa a favore degli Ebrei…Il rischio di queste operazioni non era trascurabile. Le autorità tedesche…avevano scoperto il gioco. Le loro reazioni si esprimevano attraverso i Comandi delle forze di occupazione in loco, fino ai richiami che Berlino, mediante la propria Ambasciata a Roma., faceva pervenire alle competenti Autorità italiane” 12
Il piano prevedeva una serie di tattiche dilatorie di natura burocratica e necessitava di un attento coordinamento fra gli uffici diplomatici e militari, oltre che al ricorso a comunicazioni orali, di persona, piuttosto che attraverso i canali ufficiali. Così agirà l’Ufficio Affari Civili della II Armata e i comandi subordinati, come quello del VI Corpo d’armata retto dal gen. Cigliana : applicando un proprio dettagliato promemoria eludeva le richieste dei croati e dei tedeschi sulla base di elaborate interpretazioni giuridiche e burocratiche per “attribuire” la nazionalità italiana a quanti più possibile rifugiati ebrei e così sottrarli all’arresto. Per ritardare i tempi si invocava ad esempio la necessità di dover effettuare un controllo preventivo individuale per ciascun profugo…dilatando sempre più i tempi per la risposta; il Ministro degli Esteri aveva al riguardo emanato la direttiva che non applicandosi in Italia le leggi razziali del 1938 agli Ebrei di nazionalità straniera per il principio della reciprocità gli Ebrei italiani dovevano essere esentati dalle pari normative tedesche, croate, francesi. E’ facile intuire come le operazioni si arenassero…!
Dinanzi a questo atteggiamento ostativo più d’uno furono così gli “incidenti” fra i comandi italiani e quelli tedeschi: il gen. Paride Negri, comandante della Divisione “Murge”, stanziata in Erzegovina, disse senza riserve al gen. Karl Schnell, che a sua volta lo riferì a Berlino in una lettera del 18 luglio 1942, che non avrebbe mai consegnato gli Ebrei di Mostar, alla pari del gen. Giuseppe Amico, comandante della Divisione “Marche”, con sede a Ragusa sulla costa dalmata.
Il Ministero degli esteri del III Reich, sollecitato dalla Gestapo che vedeva palesemente ostacolate le deportazioni ove sventolasse il nostro tricolore, intensificò le pressioni ufficiali e politiche intervenendo anche su Palazzo Venezia, dove l’11 ottobre fu ricevuto lo stesso Himmler.
A seguito dell’informativa dei 14 novembre 1942 del generale dei Carabinieri Pièche, a capo dei servizi informativi militari nei Balcani, che dava conferma come le deportazioni conducessero dalla ex Yugoslavia ai campi di sterminio della Polonia, in pochi giorni i c.a. 3000 Ebrei presenti nelle zone controllate dal Regio Esercito furono internati in apposite zone “protette” sottraendoli così alla cattura. Secondo De Felice anche Palazzo Venezia acconsentì, sia pur per ragioni politiche, ad avallare queste decisioni che contraddicevano l’alleanza con il III Reich. 13
Fra la fine del 1942 e gli inizi del 1943 il sistema di sabotaggio dell’Olocausto era stato esteso dalla Croazia a tutti gli altri territori occupati dal Regio Esercito: Goebbels annoterà nel suo diario il 13 dicembre 1942: “Gli Italiani sono estremamente elastici nel trattamento degli Ebrei. Proteggono gli Ebrei di origine italiana sia in Tunisia che nella Francia occupata e non permettono che siano arruolati per il lavoro o costretti a portare la stella di David…14
La tutela degli Ebrei prima e il loro “concentramento protettivo” dopo, già attuati dai Comandi militari italiani, d’intesa con le nostre autorità consolari, nella Francia meridionale (un’area di c.a. 800 km fra la Savoia e le Alpi Marittime) affidataci nel 1940, saranno estesi nel novembre 1942 agli 8 dipartimenti francesi sud-orientali (fra il Rodano, le Alpi e la costa mediterranea ivi comprese le città di Tolone, Aix en provence, Grenoble e Nizza), occupati dal Regio Esercito a seguito dell’invasione anglo-americana delle colonie nord africane francesi: diventeranno il rifugio sicuro per gli Ebrei in fuga da tutta la Francia, ossia per l’80% degli ancora 300.000 residenti oltre Alpe, anche a costo di diverse frizioni fra le truppe italiane e la polizia nazista: il gen. Mario Vercellino, comandante della IV Armata, destinata al presidio del territorio, farà ad esempio liberare gli Ebrei internati a Lione. Il generale Maurizio Lazzaro de’Castiglioni, comandante della 5a divisione alpina Pusteria, stanziata nella Savoia, si rifiutò anch’egli di consegnare gli ebrei ivi residenti 15
Dinanzi ai reiterati ultimatum delle autorità naziste perché si separassero gli ebrei italiani dagli altri che non lo erano, si rimpatriassero i primi e consegnassero i secondi alla Gestapo e alla polizia di Vichy e all’agghiacciante rapporto dell’Ambasciata italiana a Berlino del 3 febbraio 1943, dove si dava conto dell’aperta politica di sterminio avviata dai nazisti, fu diramato in pari data il telegramma n. 150: Palazzo Chigi, su espresso intervento di Pietromarchi, ordinava a tutte le nostre rappresentanze diplomatiche e consolari di avvertire gli ebrei aventi cittadinanza italiana di rientrare in patria: l’ordine fu inteso nel senso di “italianizzare” tutti gli Ebrei che si potesse per salvarli dalla deportazione. Così lo interpreteranno Emilio Neri, Guelfo Zamboni e Giuseppe Castruccio, Consoli d’Italia a Salonicco, sede della più numerosa comunità ebraica della Grecia, con l’accordo del nostro rappresentante ad Atene, l’ambasciatore Pellegrino Ghigi 16; coadiuvati da Riccardo Rosemberg, vice console e ufficiale del Sim, e Lucillo Merci, cap. del Regio Esercito di collegamento con i comandi tedeschi, riusciranno a salvarne una parte concedendo passaporti, lasciapassare e certificati di cittadinanza italiana e organizzando un apposito convoglio ferroviario verso la capitale greca, dove gli oltre 5000 ebrei, già giuntivi dal resto della Grecia, potevano vivere tranquillamente. Il gen. Carlo Geloso, al vertice delle nostre unità in Grecia fino all’aprile del 1943, e il gen. Donato Trepiccione si erano rifiutati da parte loro di collaborare con i tedeschi nel rastrellamento degli ebrei residenti nel territorio ellenico.
Giunto nel febbraio 1943 lo stesso Ribbentrop, ministro degli esteri nazista, a Roma per protestare contro il palese ostruzionismo “filo-ebreo” delle autorità italiane, Mussolini nominava il 19 marzo 1943 il dr. Guido Lospinoso a capo dell’Ispettorato per la politica razziale e lo inviava a Nizza per far collaborare gli italiani coi tedeschi e i francesi di Vichy. Con modalità più che avventurose anche Lospinoso perserverò al contrario nella politica di salvaguardia degli Ebrei per tutta la primavera grazie anche all’azione del banchiere ebreo Angelo Donati: si tentò anche di farli emigrare in Palestina e solo l’annuncio dell’armistizio in settembre potè interrompere le loro operazioni umanitarie..
Un capitolo del tutto peculiare è infine quello che riguarda la comunità ebraica presente in Tunisia, associata fin dal 1881 all’impero coloniale francese, e anch’essa sottoposto alla commissione di controllo italiana………………….La loro vicenda è stata ripercorsa con dovizia di fonti da Filippo Petrucci 17 : fin dal marzo 1942 su esplicita direttiva di Galeazzo Ciano il conte Vittorio Zoppi, rappresentante del Regno d’Italia presso il governo di Vichy quale Console Generale, definito da Sergio Romano “un conservatore, un uomo d’ordine, un patriota moderato e pieno di buon senso” 18: fu avviata una fitta interlocuzioni con Lagarde del Ministero degli affari esteri francese per cercare di sottrarre alle sempre più discriminatorie leggi razziste gli ebrei di origine italiani residenti in Tunisia sulla base del modus operandi applicato sul continente. Quando la situazione volse al peggio per l’Asse nella primavera del 1943, l’ammiraglio Luigi Biancheri, responsabile del Comando Marina a Biserta per i servizi convogli e rifornimenti delle forze italo-tedesche, rifiuterà al funzionario della Gestapo Walter Rauff, ideatore del gaswagen ( il vagone usato per lo sterminio di massa) le navi per deportare dalla Tunisia gli ebrei ivi residenti già rastrellati e salvandone così le vite. L’azione umanitaria continuerà ininterrottamente:
In suo rapporto del 21 luglio 1943 il tenente della Gestapo Roethke, uno degli organizzatori della deportazioni in Francia, scriverà:”…le autorità militari italiane e la polizia italiana proteggono gli Ebrei con ogni mezzo che sia in loro potere. La zona italiana di influenza, particolarmente quella sulla Costa Azzura, è divenuta la terra promessa per gli Ebrei. Negli ultimi mesi c’ è stato un esodo di massa di ebrei dalla nostra zona di occupazione nella zona italiana”.. 19
Si ci rende conto che le vicende qui sintetizzate sono molto complesse e necessiterebbero di una preliminare collatio delle fonti e dei contributi storici. Esse si intrecciano con le responsabilità dei vertici militari italiani nella gestione dei territori europei assegnati all’Italia fino al 1943 dove spesso furono attuate politiche repressive assai dure e violente soprattutto nei Balcani. Una loro completa disamina è stata trattata da Alberto Stramaccioni nel suo saggio Crimini di guerra. Storia e memoria del caso italiano, edito da Laterza nel 2018. E’ infatti la domanda che si pone all’inizio del suo lavoro Falanga.
Forse si può qui concludere con una riflessione di Gabriele Nissim:”…i giusti non sono degli eroi, ma delle persone comuni che come noi vivono anche di contraddizioni”.
Note a corredo
1 G. Falanga, Storia di un diplomatico. Luca Pietromarchi al Regio Ministero degli Affari Esteri (1923-1945), Roma, 2018;
2 I diari e le agende di Luca Pietromarchi ( 1938-1940). Politica estera e vita quotidiana di un diplomatico romano del 900, a cura di Ruth Nattermann, Roma, 2009
3 L.Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto, Bari, 2007
4 S. Poliakov e J.Sabile, Gli ebrei sotto l’occupazione italiana, Milano,1956
5 Nel 1964 Soro diede alle stampe un suo memoriale dal titolo La fine della Polonia vista da Varsavia, Nuova Antologia, mentre Di Stefano, che continuò la carriera diplomatica divenendo nel dopoguerra ambasciatore a Ottawa, Mosca e Rio de Janeiro, rilascerà solo un’intervista al settimanale Gente nel 1961. Alla loro azione umanitaria ha dedicato un apposito studio Sergio L. Minerbi, La diplomazia italiana e gli ebrei polacchi, in Nuova Storia Contemporanea, marzo aprile 2008, pag. 13-32. Anche dopo la partenza nel marzo del 1940 vi sarà fino all’armistizio del settembre 1943 una presenza “diplomatica” italiana: Cesare Vernarecci di Fossombrone aprì una “Regia rappresentanza per l’Italia”, accreditata presso il Governatore della Polonia affidato al gerarca nazista Franck, e cercò di continuare l’opera dei due diplomatici a favore dei polacchi e degli ebrei
6 L. Frassati, Il destino passa per Varsavia, Milano, 1985 pag. 73 e ssg. Luciana Frassati era la figlia di Alfredo Frassati, fondatore e direttore f de La Stampa fino al 1920 quando viene nominato ambasciatore a Berlino, carica cui rinuncerà due anni dopo per le sue convinzioni apertamente antifasciste: sorella del futuro beato Piergiorgio, aveva sposato l’aristocratico polacco Jan Gawronskj: nell’inverno 1939 – 1940 incontra Mussolini a Palazzo Venezia potendo così svolgere anch’essa, con l’incoraggiamento di quest’ultimo, un’intensa opera umanitaria a Varsavia di concerto con Di Stefano e Soro a favore di personalità polacche ed ebree; Nel 2019 Marina Valensise ha pubblicato per Marsilio LA TEMERARIA. Una biografia di Luciana Frassati sulla base dell’archivio della famiglia;
7 D. Carpi, Nuovi documenti per la storia dell’olocausto in Grecia. L’atteggiamento degli Italiani. 1941-1943, in MICHAEL, Tel Aviv, vol. III, The Diaspora Researche Institute, 1981,pag. 189 : “ In Grecia, Francia e Croazia le autorità civili e militari italiane svolsero durante gli anni di occupazione una vasta attività diretta a proteggere gli ebrei ivi residenti dalle persecuzioni razziali tedesche e dalla deportazione nei campi di sterminio in Polonia”. R. Marrus e Robert O. Paxton, Vichy e le Juifs, 1981, confermano che il Regio Esercito ebbe un atteggiamento di “difesa attiva” a favore degli ebrei residenti nelle zone dallo stesso occupate nella Francia meridionale e nei Balcani;
si veda anche G.Bambara, Zidov, Il salvataggio degli ebrei in Yugoslavia e Dalmazia e l’intervento della II Armata. 1941 – 1943, Milano;;
8) GARIWO pag. del 4.11.2005;
9 Falanga, op.cit. pag. 287;
10 Pietromarchi si spese generosamente per il mantenimento della non belligeranza…
11 ) Falanga, op.cit. pag. 294;
12) Emilio Barbarani, Diplomazia e diritti umani. Nel giorno della memoria. in ASSDIPLAR Associazione Diplomatici a riposo, 2000
13 R.De Felice, Mussolini l’alleato
14 J.Goebbels, Diari, in L.P.Lochner ( ed), The Goebbels Diaries, pag. 181;
15 J. L. Panicacci, L’occupation italienne. Sud Est de la France. Juin 1940- septembre 1943, Rennes, 2010;
16 N. Pirozzi, Salonicco 1943.Agonia e morte della Gerusalemme dei Balcani, Edizioni dell’Ippogrifo;
17 F. Petrucci, Gli ebrei italiani in Algeria e Tunisia. 1940-1943, Giuntina, 2011, pag. 122: “Gli ebrei italiani vennero alla fine risparmiati…non vennero applicate a questa comunità alcune leggi previste dai vari Statuts discriminatori”
18 Sergio Romano, il Corriere della Sera. 4 agosto 2009;
19 citato in Falanga pag.