Le recenti commemorazioni del centenario dalla conclusione della Grande Guerra, hanno evidenziato uno scenario sconfortante. Caduti e decorati al Valor Militare o di altro Ordine statale concesso per fatto di guerra, sono praticamente svaniti dalla memoria collettiva e, nel giro di poche generazioni, vi è il rischio concreto che finiscano nell’oblio anche nel ricordo dei diretti discendenti.
In moltissime realtà, ad oltre 100 anni dalla Grande Guerra, non si conoscono ancora i numeri esatti ed i nomi dei propri caduti.
Partendo da queste constatazioni e dalle perplessità suscitate dalle fiacche cerimonie istituzionali, ci si interroga ponendosi i seguenti interrogativi: quanti furono, chi furono e come morirono i caduti della comunità di riferimento? Quanti ebbero riconosciuto il loro coraggio con ricompense al Valore Militare? Quale fu lo sforzo complessivo dell’intera comunità e quale il danno patito in termini di mutilati, invalidi, vedove, orfani?
La città di Iglesias, distante circa 50 km dal capoluogo sardo, fu per tutta la prima metà del ‘900 uno dei maggiori centri nazionali per la produzione di minerali di piombo, zinco e argento e, per questa sua peculiarità, anche durante il periodo della Grande Guerra, rappresenta un caso di interesse storico nel contesto regionale e nazionale. Le zone minerarie dell’iglesiente e guspinese, soffrirono immediatamente gli effetti della conflagrazione europea, già nei primi giorni del mese di agosto del 1914 le società minerarie, costituite prevalentemente da capitale straniero, furono colpite dall’interruzione dei flussi di credito necessari per il pagamento dei salari e per le spese di gestione delle miniere, a ciò si aggiunse il blocco delle esportazioni di minerali verso l’estero, in particolare Belgio e Francia, disposto dal governo italiano.
Il blocco delle esportazioni di minerale ebbe come effetto immediato la sospensione dei lavori estrattivi nella gran parte delle miniere metallifere con il conseguente licenziamento di migliaia di operai. La chiusura delle miniere provocò una crisi economica e sociale estremamente grave. La situazione si aggravò ulteriormente con il rimpatrio dei lavoratori emigrati all’estero prima dell’inizio della guerra in Europa. Il malcontento popolare fu arginato dalla intensa collaborazione tra la Prefettura di Cagliari, la Sottoprefettura di Iglesias e l’Amministrazione comunale; furono allestite cucine economiche per la distribuzione dei pasti alle famiglie dei disoccupati e si idearono lavori pubblici in grado di assorbire il maggior numero di lavoratori, non mancarono di costituirsi comitati civici per la raccolta di fondi e alimenti da offrire alle famiglie più bisognose.
Dall’agosto 1914 ai primi mesi del 1915 la Giunta Comunale faticò non poco per mantenere il controllo dell’ordine pubblico, i prezzi vennero periodicamente calmierati e si arrivò perfino ad acquistare scorte di farina da cedere ai fornai, a prezzo convenuto, pur di mantenere sotto controllo i prezzi.
Anche in questa città lo scontro politico tra interventisti e neutralisti fu aspro. Da un lato l’amministrazione civica a guida socialista, dall’altro, le classi borghesi gravitanti intorno al padronato minerario e gli studenti, tra questi ultimi, in prima fila, gli studenti della Regia Scuola Mineraria, organizzatori di manifestazioni pubbliche a favore dell’intervento in guerra. Numerosi studenti e diplomati della Scuola Mineraria, si offrirono volontari e tra essi vi furono diversi caduti tra i quali possono annoverarsi alcuni insigniti di medaglia d’argento e bronzo al Valor Militare.
La guerra europea non era estranea alla comunità iglesiente anche per altre ragioni, alcuni giovani partirono volontari e si unirono ai legionari italiani guidati dal Generale Ricciotti Garibaldi a sostegno dell’esercito francese. Il Consiglio Comunale fu chiamato ad esprimere “i sensi di sincero dolore” ad un suo componente per la notizia che l’iglesiente Viotti Michele era rimasto gravemente ferito nella battaglia delle Argonne a fianco dei prodi garibaldini contro l’esercito tedesco. Lo stesso Consiglio inviò un telegramma al Gen. Ricciotti Garibaldi in occasione della scomparsa del figlio Bruno caduto in combattimento sempre nelle Argonne.
Con la situazione economico – sociale sopra accennata, si arrivò ai primi mesi del 1915, quando, con l’avvio della mobilitazione, larga parte degli uomini abili alle fatiche di guerra fu destinata ai reggimenti in fase di completamento o di nuova costituzione. La Brigata Reggio, costituita dal 45° e 46° Reggimento ed appartenete all’Esercito Permanente, vide completati gli organici con uomini provenienti dal reclutamento sardo e dai distretti militari di Genova, Pinerolo, Venezia, Avellino, Roma e Messina, mentre il 1 marzo 1915 a Sinnai (Cagliari) e Tempio Pausania (Sassari) si costituivano rispettivamente il 151° e il 152° Reggimento della Brigata Sassari, brigata di Milizia Mobile alimentata da uomini provenienti dalla Sardegna e dagli stessi distretti militari che alimentavano la Brigata Reggio. Solo dal dicembre 1915, per disposizione del Comando Supremo, la Brigata Sassari diverrà sostanzialmente brigata regionale, presumibilmente a seguito del susseguirsi di importanti successi sui campi di battaglia, che le valsero tra le altre, la citazione sul Bollettino di Guerra n. 173 del 15 novembre 1915 dove si esaltavano le azioni degli “intrepidi Sardi” nell’espugnare “importante trinceramento detto dei Razzi.”
Oltre ai citati reggimenti, numerosi altri reggimenti di fanteria e specialità videro la partecipazione dei soldati iglesienti, tra queste anche il genio ed in particolare il 5° Reggimento genio minatori.
Nel pomeriggio del 24 maggio 1915 nella seduta solenne del Consiglio Comunale il sindaco Corsi, socialista e neutralista, rivolse un accorato indirizzo di saluto dai toni fortemente patriotici ad alcuni consiglieri prossimi alla partenza per il fronte: “Egregi colleghi, in questo storico momento in cui l’Italia nostra sorge in armi come un sol uomo, per marciare contro la secolare abborrita sua nemica, contro l’Austria conculcatrice d’ogni libertà, permettete ch’io, pur mantenendomi fedele ai nostri comuni ideali, esprima l’augurio che si compia finalmente il voto dei nostri maggiori, che Trento e Trieste siano tolte alla secolare servaggio e restituite alla comune Patria. Vadano quelli fra voi cui toccò in questo momento l’invidiato onore di servire la Patria con le armi, animati dal solo sentimento di vincere l’oppressore dei nostri fratelli irredenti; vadano confortati e rincuorati dal sentimento della nazionale solidarietà, e con l’augurio di ritornare alle case loro, all’usato lavoro con la soddisfazione del dovere compiuto.”
Allo scoppio della guerra gli uomini abili, nativi e residenti, nella quasi totalità minatori, vennero chiamati alle armi, una parte consistente partiva per le fronti di combattimento mentre un’altra rimaneva, anche inquadrata nella Milizia Territoriale, a condurre il lavoro nelle miniere dichiarate, Stabilimenti Militari Ausiliari.
Con l’ingresso in guerra dell’Italia muta completamente lo scenario economico e sociale dei territori minerari sardi. Le esigenze della guerra imporranno l’intensificazione delle produzioni di minerali metalliferi e di carbone, si passò in pochi mesi dalla disoccupazione di massa alla mancanza di manodopera.
L’Italia del 1915 non era più quella del maggio del 1882 quando veniva sottoscritta l’alleanza con l’Austria e la Germania, alleanza stipulata più a garanzia della sopravvivenza della autonomia politica e integrità territoriale del giovane Regno d’Italia che per convinzione di schieramento, essendosi consumata, con la presa di Roma del 1870, l’insanabile rottura dei rapporti diplomatici con la Francia.
La Triplice Alleanza, con le relative obbligazioni, non aveva risolto le profonde inimicizie tra l’Italia e l’Austria e, solo grazie al ruolo di equilibro svolto dalla Germania, si impedì, in diverse occasioni, al Feldmaresciallo Conrad von Hötzendorf Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Austro Ungarico di intraprendere una guerra preventiva contro l’Italia e riannettere all’Impero asburgico il Veneto e la Lombardia.
Erano note le posizioni antitaliane del Feldmaresciallo von Hötzendorf che godevano di ampio sostegno a Vienna tanto che il governo italiano sin dal 1870 ordinava, in aggiunta a quello difensivo della frontiera con la Francia, lo studio di un piano di difesa del confine orientale. Il Generale Cesare Francesco Ricotti Magnani presentò al Parlamento la “Relazione alla Commissione per lo studio della sistemazione a difesa del teatro della guerra Nord – Est.” contenente le misure necessarie alla radunata e allo schieramento a difesa in caso di attacco dell’Austria.
Con l’istituzione della carica di Capo di Stato Maggiore avvenuta nel 1882, il nuovo Capo di Stato Maggiore Generale Enrico Cosenz predispose un nuovo piano difensivo. Il piano “Cosenz” subì costanti aggiornamenti sino al 1904 quando, divenuto C.S.M. il Generale Tancredi Saletta, il piano preesistente venne sottoposto a profonda revisione. Il Generale Tancredi Saletta, per realizzare concretamente gli obiettivi del nuovo piano, richiese ed ottenne dal governo, cospicui aumenti dei finanziamenti destinati alla difesa.
Divenuto Capo di Stato Maggiore il Generale Alberto Pollio, questi, sin dalla sua nomina, avvenuta nel febbraio 1909, fu di continuo incitamento al governo affinché si incrementassero i finanziamenti necessari a completare le opere difensive ideate dal suo predecessore, ma non solo, la situazione politico – diplomatica era tale che la possibilità di una guerra in Europa non poteva essere sottovaluta rendendo necessari nuovi e più aderenti piani di difesa. In questa prospettiva, nel periodo 1906 – 1913, il bilancio del Ministero della Guerra passò gradualmente da circa 300 a 550 milioni di lire.
Il piano “Pollio” divenne operativo nel 1913, prevedeva, in sintesi, oltre alla costante difesa del confine occidentale con la Francia, un miglior dispiegamento difensivo delle Armate italiane nei confini del Nord – Est, e una adeguata sorveglianza della frontiera Svizzera, senza trascurare una idonea difesa contro eventuali sbarchi dal mare. Inoltre, per la prima volta, alla strategia difensiva si affiancava il contrattacco e il rigetto dell’avversario. Il Gen. Pollio non tralasciò, nelle sue riflessioni, di concentrarsi sulla strategicità dell’organizzazione del Regio Esercito e sulla necessità di provvedere all’ammodernamento degli armamenti.
Il primo luglio 1914, a due giorni dall’attentato di Sarajevo, il Generale Pollio moriva improvvisamente; rimasta incompiuta l’opera di progressivo miglioramento della struttura e specializzazione della forza armata italiana, il Gen. Pollio lasciava comunque all’Italia un esercito in grado di svolgere efficacemente il suo compito.
A succedere al Generale Pollio nell’incarico di nuovo Capo di Stato Maggiore, fu chiamato il Generale Luigi Cadorna, uomo di grande esperienza militare, ma di personalità rigida e chiusa, che raggiunse il Comando Supremo all’età di 64 anni.
La dichiarazione di neutralità del governo italiano del primo agosto 1914, lasciò il nuovo C.S.M. sconcertato, infatti la scelta politica, maturava senza una preventiva consultazione dei comandi militari. La decisione del governo giungeva indubbiamente inattesa se si considera che, a fine luglio, il generale Cadorna aveva disposto l’avvio di reparti italiani alla frontiera francese e il 31 dello stesso mese aveva scritto al Re Vittorio Emanuele III manifestando, in adesione alle clausole della Triplice Alleanza, la disponibilità di un contingente di circa 150.000 uomini pronto per raggiungere la Germania e prendere parte al conflitto contro la Francia.
Il precipitare della situazione in Europa induceva il governo del Regno a ordinare allo Stato Maggiore dell’Esercito di rivedere i piani strategici italiani orientando l’azione verso un probabile conflitto contro l’Austria – Ungheria; il 21 agosto 1914 veniva redatta la “Memoria riassuntiva circa l’azione offensiva verso la monarchia austro – ungarica durante l’attuale conflagrazione europea. Presumibili operazioni da svolgersi”. I piani italiani da difensivi divennero chiaramente offensivi e pertanto si dovettero disporre le attività necessarie a condurre in maniera celere, ordinata ed efficace, la mobilitazione e la radunata delle truppe.
Le trattative segrete, che sfoceranno nel Trattato di Londra e la denuncia dell’alleanza con l’Austria Ungheria, avvenuta il 3 maggio 1915, coglieranno ancora una volta il Generale Cadorna di sorpresa, mostrando di fatto la mancanza di un coordinamento tra il governo e lo Stato Maggiore dell’Esercito, coordinamento evidentemente necessario per una corretta conduzione delle fasi di gestione e organizzazione della forza armata.
In questo difficile contesto lo S.M.E. si vedete costretto ad approntare rapidamente adeguati piani di guerra.
In attuazione del piano “Cadorna”, con l’ordine di operazioni n. 1 del 16 maggio 1915, l’Esercito Italiano avrebbe dovuto schierarsi dal passo dello Stelvio alla strada Cormons, mentre la riserva generale doveva essere accantonata tra Brescia e Vicenza.
Conseguentemente, delle 35 divisioni di cui era inizialmente formato l’Esercito Italiano, 14 avrebbero dovuto schierarsi lungo i 500 chilometri della fronte tra lo Stelvio e la Carnia, 14 sulla fronte principale prescelta per l’attacco, circa 100 chilometri lungo l’Isonzo, mentre le restanti 7 divisioni sarebbero rimaste a riserva lungo l’asse Brescia – Vicenza.
La mobilitazione iniziata di fatto nell’agosto del 1914 con il richiamo delle classi 1889 e 1890 e la chiamata alle armi del contingente 1891 e della IIa categoria del 1893, prosegui nel settembre con la chiamata della classe 1894 con lo scopo di costituire una riserva ben addestrata. L’improvvisa mobilitazione delle classi 1889, 90, 91, 93 e 94 sconvolse i meticolosi piani di mobilitazione e radunata che secondo le tradizionali disposizioni avrebbero dovuto svolgersi in contemporanea, completando i reggimenti con l’arrivo degli uomini nei luoghi di radunata. Lo S.M.E. fu costretto a predisporre un diverso sistema di mobilitazione, la mobilitazione rossa, cosi chiamata per il colore della cartolina di precetto. La nuova mobilitazione consisteva nell’avviare le nuove classi di leva, i richiamati e le riserve nelle sedi di pace dei reggimenti per la necessaria istruzione e completamento degli organici, consentendo al governo sia una mobilitazione discreta tanto da non allarmare anticipatamente l’Austria, sia margini di tempo opportuni per decidere la radunata delle truppe.
Furono progressivamente incrementati i reggimenti di fanteria sino a giungere al 24 maggio 1915 con lo schieramento di 146 reggimenti incardinati in 73 brigate di fanteria. Complessivamente, alla dichiarazione di guerra l’Esercito Italiano risultava formato da 4 Armate, la Ia, IIa, IIIa, IVa, più il Comando della Zona Carnica e un ulteriore Comando del Corpo di Cavalleria; erano inoltre previste delle Truppe di Riserva a disposizione del Comando Supremo.
Le quattro Armate con il Comando della Zona Carnica risultavano a loro volta composte da 14 Corpi d’Armata suddivisi in 35 Divisioni di fanteria, una di bersaglieri, 4 di cavalleria e 2 di gruppi alpini. Ai primi di luglio, completata la mobilitazione, l’Esercito italiano risultava costituito da 31.037 Ufficiali, 1.058.042 uomini di truppa, 10.957 civili.
Conclusa la campagna di guerra per l’anno 1915 senza importanti successi strategici e lasciati sul campo 60.000 caduti e oltre 180.000 tra feriti e invalidi, ma infliggendo all’esercito avversario oltre 250.000 perdite tra morti, feriti e prigionieri, il 1916 vedeva realizzarsi l’ampliamento delle forze in campo dell’esercito italiano con la chiamata alle armi della classe 1896 e la revisione dei riformati delle precedenti classi 1892 – 1895 al fine di raggiungere l’aliquota di 300.000 nuove unità necessarie all’offensiva di primavera.
Nella primavera del 1916 gli austro ungarici presero per primi l’iniziativa e il 15 maggio 1916 sferrarono un imponente attacco sulla fronte del Trentino. L’offensiva, comunemente nota come “strafexpedition”, (spedizione punitiva) prevedeva il dispiegamento delle truppe austro ungariche lungo la linea che da Rovereto raggiunge il Brenta, con avanzamento nelle direttrici di Bassano, Thiene e Schio. L’offensiva avrebbe dovuto travolgere la resistenza delle forze italiane spalancando così le porte al dilagare delle truppe austro ungariche verso la pianura, isolando al contempo, le truppe italiane impegnate nella fronte isontina.
L’offensiva austriaca si sviluppò in quattro distinte fasi: la prima con l’avanzata della IIa Armata Austriaca in Vallarsa e nel Bacino Posina – Astico (15 – 19 maggio), la seconda con l’avanzata della IIIa Armata Austriaca fino ad Asiago e Borgo in Val Sugana (20 – 28 maggio), la terza fase con l’arresto dell’offensiva austriaca (29 maggio – 10 giugno), la quarta con gli ultimi tentativi austriaci a cavallo dell’Astico e la sospensione dell’offensiva (11 – 18 giugno).
L’ampio fronte del Trentino che si estendeva dal Monte Bràulio (comprensorio dello Stelvio – Bormio (SO) alla Croda Granda (gruppo Pale di San Martino – San Martino di Castrozza (TN)), veniva efficacemente difeso dallo schieramento della 1a Armata al comando del Tenente Generale Guglielmo Pecori Giraldi subentrato il 10 maggio 1916 al Tenente Generale Brusati Roberto che lasciò l’incarico il 9 maggio. Al 14 maggio 1916 la 1a Armata includeva il III° Corpo d’Armata al comando del Tenente Generale Vittorio Camerana e il V° Corpo d’Armata al comando del Tenente Generale Ottavio Zoppi. Al III° Corpo d’Armata afferivano la 5a, la 6a e la 35a Divisione fanteria mentre erano alle dipendenze del V° Corpo d’Armata la 37a, la 15a e la 34a Divisione, per un totale di 90 battaglioni di fanteria, 5 di bersaglieri, 24 di alpini, 30 di Milizia Territoriale, 6 di Guardia di Finanza, inoltre, erano allineati 773 pezzi d’artiglieria di diverso calibro. Complessivamente risultavano inquadrati nella 1a Armata 6.910 ufficiali e 219.253 soldati di truppa.
Sull’ala destra della 1a Armata era dislocata la 4a Armata agli ordini del Generale Mario Nicolis di Robilant, che occupava le posizioni dalla Croda Granda, che passando per il Cadore, giungevano sino alla Carnia Occidentale.
Le forze austro ungariche ammassate nel Trentino erano costituite dalla 3a e 11a Armata comandate dall’Arciduca Eugenio d’Asburgo; la 3a Armata era comandata dal Generale Hermann Köevess e disponeva del 1° Corpo d’Armata costituito dalla 10a, 34a e 43a Divisione Schützen, 44a Divisione Schützen e Divisione Kaiserschützen, 2a e 8a Brigata Autonoma Alpina. L’11a Armata, agli ordini del Generale Viktor Dankl von Krasnik, risultava costituita dall’8° Corpo d’Armata composto dalla 57a e 59a Divisione, dal 20° C.A. costituito dalle 3a e 8a Divisione Kaiserjӓger, il 3° C.A. a cui afferivano la 6a, la 28a Divisione e dalla 22a Divisione Schützen, il 27° C.A. con la 18a, 48a Divisione e dalla 181a Brigata; mentre la 9a Divisione si aggiungeva poco prima dell’offensiva.
Dal 15 maggio tutta la fronte della Ia Armata fu duramente colpita dagli attacchi delle forze avversarie, il nemico avanzò profondamente nel territorio italiano, l’offensiva fu arginata lungo la linea che dal Pasubio raggiunge l’Altipiano di Asiago.
L’Altipiano fu teatro di violenti attacchi nemici ma la resistenza delle truppe italiane, rese inefficace l’azione avversaria evitando ulteriori sfondamenti della linea italiana. Le perdite del Regio Esercito furono però ingenti, tra queste la medaglia di bronzo al Valor Militare Sottotenente di complemento Bernardini Amedeo di Iglesias del 211° reggimento fanteria caduto il 6 giugno nella difesa del Monte Lemerle.
Lo studio delle motivazioni delle medaglie al Valor Militare concesse ai combattenti iglesienti ha rivelato che nei giorni 15 e 16 giugno 1916 il caporale maggiore Campus Giuseppe e il caporale Musu Francesco entrambi appartenenti al 149° Reggimento fanteria Trapani, furono insigniti della medaglia di bronzo al Valor Militare per il fatto d’armi svoltosi sul Monte Lemerle appunto nei giorni 15 – 16 giugno 1916, con particolare riferimento alle azioni di contrasto italiane avverso l’offensiva della 3a Armata austriaca lungo la linea difensiva di Monte Zovetto – Monte Lemerle, sull’Altipiano di Asiago.
All’alba del 10 giugno l’artiglieria austro ungarica riprese a bombardare le posizioni italiane sul Monte Lemerle, al termine del bombardamento reparti della 34a Divisione austriaca iniziarono l’attacco; la linea italiana cedette al centro rendendo agevole per il nemico l’occupazione della cima del Monte Lemerle. L’invio di rinforzi consentì alle truppe italiane di intraprendere il contrattacco verso le posizioni perdute; dopo ripetuti e sanguinosi assalti il I° e il III° Battaglione del 43° Reggimento e il I° Battaglione del 44° Reggimento consentivano, intorno alle ore 14, la riconquista della cima del Monte Lemerle. Le perdite causate dall’attacco austro ungarico del 10 giugno assommarono, tra morti, feriti e dispersi a 47 ufficiali e 1.216 soldati di truppa.
Dall’11 al 14 giugno la zona del Monte Lemerle vide l’interruzione delle azioni nemiche.
Al contempo la Brigata Trapani costituita dal 144° e 149° Reggimento, che il 10 giugno 1916 era stata posta alle dipendenze della Ia Armata e collocata in posizione di riserva, vede il 149° Reggimento messo a disposizione della 30a Divisione e schierato tra Spiazzo Croce e Monte Lemerle.
Il 149° Reggimento fanteria venne formato a Brindisi il 4 gennaio 1915, con la costituzione della Brigata Trapani avvenuta il 5 marzo seguente, ne divenne reggimento costituivo insieme al 143°, 144° Reggimento. La Trapani, costituita in tre reggimenti anziché nei due di ordinamento, rappresenta una anomalia nella organizzazione del Regio Esercito; perso il 143° perché inviato in Tripolitania, solo a fine del 1917, al 144° verrà attribuito il numero 150. Il 150° Reggimento, erediterà la bandiera di guerra del 144° e le medaglie ad essa concesse.
Nelle azioni del 10 giugno sul Monte Lemerle la linea italiana, nonostante la conquista della sommità, aveva subito una certa penetrazione al centro, allo scopo di riprendere la posizione occupata dagli austriaci e ricacciarli dalle pendici del Monte Lemerle, il Comando della 30a Divisione predispose un piano d’attacco che venne sferrato il 15 giugno in concomitanza alle azioni svolte dalla 33a Divisione.
Il 15 giugno il I° e il III° Battaglione del 149° (il II° era stato dislocato sull’ala sinistra del M. Lemerle), muovono all’attacco delle pendici del Monte Lemerle, scavalcando le linee italiane attestate sulla cima e si lanciano in un “violento corpo a corpo”, l’intero Monte Lemerle “viene brillantemente preso alla baionetta, respingendo per oltre 400 metri il nemico che lascia sul terreno 1500 uomini; le perdite per i due battaglioni sono forti: 24 ufficiali e 661 militari di truppa.”
Il I° e il III° Battaglione del 149°, benché duramente contrattaccati dal 22° Reggimento Landwehr resistettero e mantennero ben salde le posizioni conquistate tanto che, l’ammirevole azione, veniva riferita nei “Rapporti giornalieri all’Imperatore” d’Austria: “Il 22° regg. Lw. Della 43a div. ha respinto (ore 5 pomeridiane) tre violentissimi attacchi nemici a M. Lemerle; durante gli attacchi sferrati dopo le 5 pomeridiane, il nemico è riuscito a penetrare nelle posizioni sulla cima del Lemerle. Il Comando del Corpo d’armata ha messo a disposizione della 43a Div. tre btg. della sua riserva per eseguire un contrattacco: ciò malgrado non è stato possibile strappare al nemico la cima da lui tenuta.”
Nell’azione del 15 giugno veniva conferita al caporale maggiore Campus Giuseppe del 149° Reggimento fanteria la medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: Ciclista del comando, incaricato di portare ordini durante un’azione, noncurante del pericolo, percorse più volte i punti più battuti dal fuoco nemico, pur di seguire la strada più breve e recapitare gli ordini stessi celermente, in modo da ottenerne l’esecuzione a tempo opportuno, con evidente vantaggio per il buon esito dell’azione. Monte Lemerle, 15 giugno 1916.
La mattina del 16 giugno vede il nemico riprendere le ostilità lungo tutta la fronte che dal Monte Zovetto giungeva al Monte Lemerle.
La 43a Divisione austro ungarica, dopo intensa attività di artiglieria, si lanciava all’attacco delle posizioni tenute dal I° e III° Battaglione del 149°; intorno alle 8 del mattino le truppe austro ungariche raggiungono la cima del Lemerle. Le riserve rimaste a disposizione del Comando della 30a Divisione italiana furono inviate a sostegno dei due battaglioni del 149°, i rincalzi costituiti dal 14° Battaglione e uno di marcia del 5° Reggimento bersaglieri, consentirono di sferrare un energico assalto tanto da riconquistare la cima del Monte Lemerle e ristabilire la linea precedentemente perduta.
Per i combattimenti del 16 giugno fu conferita al caporale Musu Francesco del 149° Reggimento fanteria la medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: Disprezzando il pericolo, percorreva da solo, più volte una zona battuta dalla fucileria nemica, onde fare più celermente affluire l’acqua e le munizioni alla sua mitragliatrice. Monte Lemerle, 16 giugno 1916.
La sera del 16 giugno il Comando Supremo austriaco ordinava la cessazione delle ostilità, lasciando all’Arciduca Eugenio, comandate della 3a e 11a Armata, la scelta della linea difensiva su cui attestarsi. La ritirata delle truppe austro ungariche lasciava l’Altipiano dei Sette Comuni ormai semidistrutto, le montagne e i boschi squassati dalle artiglierie, Asiago, Cesuna, Gallio ed altri paesi furono duramente colpiti dalle artiglierie e abbandonati dai civili.
Poteva quindi dirsi conclusa la “Südtiroloffensive” (Offensiva in Sud Tirolo) azione ostinatamente voluta da Capo di Stato Maggiore austro ungarico Franz Conrad von Hötzendorf convinto di assestare finalmente il colpo fatale all’alleato traditore. Von Hötzendorf invece commise un tragico errore di valutazione e probabilmente il fallimento dell’Offensiva di Maggio fu anche l’inizio del declino della sua carriera militare.
L’Offensiva di Primavera svoltasi dal 15 maggio al 16 giugno, con episodi marginali il 17 e il 18, causò agli italiani perdite per 76.132 uomini di cui i morti furono 6.187 di questi 314 ufficiali e 5.873 soldati di truppa; i feriti furono calcolati in 28.544 di cui 1.173 ufficiali e 27.371 truppa; i dispersi 41.401, ufficiali 871, truppa 40.530.
Dalla Relazione Ufficiale austro ungarica si apprende che le perdite di quell’esercito ammontarono a 30.000 uomini, 5.000 morti, 23.000 feriti, 2.000 dispersi.
La comparazione delle perdite tra i due opposti schieramenti, pone alcuni interrogativi. Se è vero che il numero dei combattenti italiani era inferiore a quello avversario, le perdite risultano inversamente proporzionali: perdite italiane 76.132 uomini di cui morti 6.187 così suddivisi: 314 ufficiali e 5.873 soldati di truppa; i feriti 28.544 di cui 1.173 ufficiali e 27.371 truppa; i dispersi 41.401, ufficiali 871, truppa 40.530; perdite austro ungariche 30.000 uomini, 5.000 morti, 23.000 feriti, 2.000 dispersi. E’ evidente che il rapporto tra i 40.530 dispersi italiani e i 2.000 austriaci è del tutto sproporzionato. Quanti dei 40.530 soldati italiani furono tratti in prigionia? Quanti di questi effettivamente morirono in combattimento senza essere rinvenuti?
La battaglia del Monte Lemerle del 15 – 16 giugno, interrompe in maniera definitiva le aspettative dello Stato Maggiore austro ungarico di infliggere una sconfitta risolutiva all’Esercito Italiano e allo stesso tempo incoraggia lo Stato Maggiore italiano, fattosi forte dell’andamento favorevole dell’offensiva sul fronte russo condotta dal Generale Aleksej Alekseevič Brusilov e del conseguente trasferimento ad Est di truppe austro ungariche, ad intraprendere la controffensiva verso il Sud Tirolo.
Il successo dei combattimenti sulle pendici del Monte Lemerle fu reso possibile grazie al sacrificio e all’eroismo dei soldati della 30° Divisione, sacrificio evidenziato dalle tante medaglie al Valor Militare concesse ai combattenti. La vittoria italiana sul Monte Lemerle a pieno titolo può essere considerata la prima grande vittoria, preludio della ricacciata del nemico nelle posizioni occupate prima dell’offensiva di maggio.
Trascorreranno ancora due anni di guerra e di privazioni prima della pace vittoriosa, la smobilitazione delle truppe non avvenne in tempi celeri, numerosi reggimenti furono impiegati per anni nella gestione delle bonifiche dei campi di battaglia, altri ancora, per garantire una pacifica transizione nei territori attigui alle nuove frontiere previste dalle previsioni del Trattato di Londra e delineate dall’Armistizio di Villa Giusti.
Oltre 20.000 uomini, al comando del Generale Pecori Giraldi, occuparono Innsbruck e numerosi centri della Valle dell’Inn, sino al dicembre 1920, sostenendo il difficile compito di vigilanza e, al contempo, guadagnando perfino la rassegnata benevolenza delle popolazioni locali grazie alla distribuzione di cibo e generi di primo conforto in un contesto di grave crisi economica e alimentare.
Numerosi reggimenti rimasero invece mobilitati a vigilare sulla pace appena conquistata.
Man mano che si avviava la smobilitazione i reduci rientravano nei paesi da dove erano partiti, desiderosi di abbracciare gli affetti e riprendere la vita e il lavoro lasciati.
In un clima di rinnovata fiducia ma anche di concrete preoccupazioni per il futuro, nascono, con l’obiettivo di preservare la memoria dei compagni caduti e celebrare il culto della Patria finalmente unità, le prime associazioni di reduci. Alla preesiste Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra costituta nel 1917, seguono, per citare le più significative, l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci fondata nel 1919, l’Associazione Nazionale del Fante costituita nel 1920 mentre il 24 febbraio 1923 si costituisce l’Istituto del Nastro Azzurro fra Decorati al Valor Militare, la nuova organizzazione iniziò a diffondersi nelle regioni italiane assumendo un ruolo di grande rilievo sino a quando anche le sue strutture, al pari di tutte le altre associazioni combattentistiche, vennero infiltrate e assoggettate dal regime fascista.
Il 15 e 16 novembre del 1923, la cronaca del L’Unione Sarda riferisce che il Prof. Dott. Giovanni Maria Lay, presidente dell’Opera Nazionale Mutilati di Sassari si trovava a Cagliari “… allo scopo di costituire una Sezione dell’Istituto del Nastro Azzurro, che tanto entusiasmo ed adesioni ha riscosso fra i decorati al valore in tutta Italia.”, il prof. Lay fu ricevuto dal Generale Asclepiade Gandolfo, allora prefetto di Cagliari e dal Generale Gastone Rossi Comandante della Divisione Militare della Sardegna, “…coi quali prese gli accordi opportuni per la costituzione della Sezione dell’Istituto in questa nostra città.”. La riunione si tenne nella sera del 16 novembre presso i locali del Circolo Militare di Cagliari.
Sempre dal quotidiano L’Unione Sarda del 18 novembre 1923 si apprende che si è costituita a Cagliari la sezione del Nastro Azzurro, “… alla riunione erano presenti numerosi ufficiali in servizio attivo permanente ed in congedo, sottufficiali e soldati.”. La presidenza dell’assemblea fu assunta dal gen. Rossi che nel suo discorso rivolto “… non soltanto ai decorati ma anche indistintamente a tutti i combattenti sardi che si comportarono tutti da eroi ed ha affermato che la organizzazione sarda del nastro azzurro riuscirà ad unire ancora maggiormente in un vincolo fraterno le due provincie della Sardegna.”
Mentre il prof. Lay, indicato come il fiduciario dell’Istituto per la provincia di Sassari, nel suo intervento, “… ha illustrato gli scopi del nastro azzurro ed il suo carattere di apoliticità; ha riferito dei lavori svolti nella capitale nell’ultimo congresso generale al quale recò il saluto di tutti i decorati della Sardegna …”
Il 1 marzo 1924, secondo il resoconto del quotidiano Il Popolo di Sardegna del successivo 2 marzo, si tenne l’assemblea generale dei soci per eleggere le cariche definitive della “Sezione Provinciale di Cagliari”, risultarono eletti il Presidente dell’Assemblea il Generale Gandolfo; Presidente della Sezione il Generale Rossi; Segretario il Centurione della M.V.S.N. Riccio Antonio; Fiduciario il tenente di complemento Cherchi Francesco; mentre consiglieri furono eletti: capitano di complemento Serra Antonio, capitano in servizio attivo Lobina Romualdo, capitano di complemento Mariani Mario, capitano in servizio attivo permanente Chessa Giuseppe. A tesoriere fu eletto il tenente di complemento Cosseddu Giovanni Antonio mentre a revisori furono eletti il colonnello S.A.P. Cagnassi Melchiorre e colonnello P.A.S. Cagnassi Alessandro; a vessilifero fu eletto la Medaglia d’Oro aiutante di battaglia Scintu Raimondo.
La Corte d’Onore risultava così costituita, presidente: colonnello P.A.S. Sirchia Achille, membri: colonnello P.A.S. Dessì Adolfo, capitano medico Deplano Roberto, tenente S.A.P. Rossi Mario, tenente di complemento Cao avv. Vitale.
Allo stato delle ricerche non è ancora stata individuato il momento in cui i decorati iglesienti lasciarono la sezione provinciale per andare a costituire la sezione del Nastro Azzurro di Iglesias. L’esistenza di questa sezione è testimoniata dal labaro e da alcune fotografie rappresentanti momenti delle cerimonie combattentistiche anni ‘50 – 80.
L’analisi del Bollettino Ufficiale delle Nomine, Promozioni e Destinazioni negli Ufficiali del Regio Esercito Italiano e nel Personale dell’Amministrazione Militare, annate 1915 – 1932, e l’iniziale riscontro con i Ruoli Matricolari al momento disponibili, ha evidenziato che ai soli combattenti nativi della città di Iglesias sono state concesse 18 medaglie d’argento al V.M., 31 medaglie di bronzo al V.M., 12 croci di guerra al V.M. e alcune promozioni per merito di guerra.
Le ricerche evidenziano che ben 53 nativi furono riconosciuti meritevoli degli onori del Valor Militare.
Lo studio ha altresì evidenziato che gli insigniti al Valor Militare erano distribuiti su numerosi reggimenti di fanteria e specialità, per 41 di essi su 53 è stato possibile individuare il grado militare e l’occupazione; tra gli ufficiali si annoverano 13 tra studenti e periti minerari provenienti dalla locale Scuola Mineraria, mentre 7 risultano i minatori, 5 gli studenti generici, 4 i manovali, 2 i muratori, 1 cernitore (addetto alla cernita del minerale), 1 impiegato, 1 orologiaio, 1 fabbro, 1 panettiere, 1 barbiere, 1 elettricista, 1 verniciatore, 1 allievo maniscalco, 1 contadino. Tra i 41 decorati analizzati 12 non sapevano leggere e scrivere.
Dalla lettura delle motivazioni che hanno giustificato la concessione delle medaglie al Valor Militare dei combattenti iglesienti, si leggono nomi di località come Monte Zebio, Col del Rosso, Bosco Cappuccio, Carso, Piave, luoghi dove estremo è stato il sacrificio dei soldati italiani.
Nelle grandi battaglie per l’Unità dell’Italia c’è stato almeno un iglesiente insignito di riconoscimento al Valor Militare!
Oggi, nell’inizio del secondo decennio del XXI° secolo, ha senso ricordare questi episodi del secolo precedente? Ha senso fare riferimento ai valori morali, all’attaccamento al senso del dovere spintosi al punto di sacrificare la propria vita?
E’ un luogo comune affermare che bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro?
Conoscere la storia, di uno Stato o di una piccola comunità ci riporta alle radici e ci consente di capire i cambiamenti e l’evoluzione della società ma anche di avere gli strumenti necessari a conoscere e confrontarsi con le culture altrui.
Le società moderne ma soprattutto le giovani generazioni hanno ancora bisogno di simboli, di esempi, di insegnamenti e di salde radici.
La missione di esaltare e propagandare il valore e le virtù militari italiane, tutelare il rispetto e l’amore per la Patria e diffondere, particolarmente nelle giovani generazioni, la coscienza dei doveri verso di questa, non è cosa semplice, ma oggi più che mai, nelle drammatiche ore in cui vive il nostro Paese, è un dovere a cui siamo chiamati.