LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN – LEZIONE DI ARTE MILITARE – 2^ PARTE

  

Il piano operativo italo-tedesco.

Esaminiamo ora la concezione operativa italo-tedesca. Con la battaglia di Alam-Halfa, che sostanzialmente aveva rappresentato un tentativo di aggiramento da sud delle posizioni britanniche di El Alamein, si era venuta a determinare una situazione che poneva il problema della convenienza o meno di abbandonare le posizioni raggiunte per occuparne altre retrostanti. più solide e sotto molti riguardi più favorevoli.

Questo problema presentava la possibilità di tre soluzioni operative:

  • Prima soluzione ritirare e concentrare sul ciglione Sollum-Halfaya, 400 km. ad or, est di El Alamein, la massa delle forze sotto la protezione di unità mobili di copertura spinte in avanti:
  • Seconda soluzione: predisporre l’arretramento delle unità meno mobili sulle posizioni di Fuka, 100 km più ad ovest di El Alamein, ed effettuarlo solo quando si fosse preannunziata imminente una offensiva nemica, opponendo a questa una manovra in ritirata condotta dalle unità motocorazzate;
  • Terza soluzione: mantenere le posizioni raggiunte di El Alamein e condurre, su di esse, una battaglia difensiva resistendo ad oltranza, fino a quando non si fosse determinata una rottura di equilibrio fra attacco e difesa.

La prima soluzione, ripiegamento di tutte le forze sulla fortissima posizione di Sollum-Halfaya, non venne presa in considerazione non per decisione del Maresciallo Rommel che, fin dal mese di luglio, dopo che la sua Armata era stata fermata ad El Alamein, aveva esaminato questa evenienza prospettandola senza successo al Maresciallo Cavallero Capo di Stato Maggiore Generale. A quel momento si era già verificato un capovolgimento delle concezioni operative, infatti, Rommel, che aveva superato l’opposizione dei comandanti italo-tedeschi e puntato sulle Piramidi, era ora propenso a ritornare sui suoi passi e suggeriva il ripiegamento. II Gen. Cavallero e i comandanti italo-tedeschi, che inizialmente erano contrari all’avanzata, non vollero nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di una ritirata.

Mussolini stesso il 19 luglio, nella direttiva strategica emanata al rientro dalla Libia, ove per 15 giorni aveva invano atteso di poter entrare in Alessandria d’Egitto alia testa delle truppe, affermava: “...La battaglia di Tobruk è chiusa, quella di domani sarà la battaglia del Delta. Condizio sine qua non per preparare la nuova battaglia è quella di conservare a qualunque costo le attuali basi di partenza. Ogni altra ipotesi deve essere scartata a priori…“. E, il 19 agosto, il Gen. Cavallero emanava le direttive per l’avanzata sul Delta.

Neanche l’insuccesso di Alam-Halfa spostò i termini del problema, perché il Comando Supremo Italo-Tedesco rimase fermo nei suoi propositi di mantenere le posizioni raggiunte e riprendere l’offensiva appena possibile. A tale orientamento si adeguò dopo la battaglia di Alam-Halfa anche il Maresciallo Rommel, che aveva ottenuto di rientrare in Europa per un periodo di riposo lasciando temporaneamente il comando al Gen. Stumme, anch’egli convinto di poter respingere l’imminente attacco inglese e passare alla controffensiva. Ciò derivava dalla constatazione del formidabile consolidamento effettuato sulle posizioni di El Alamein da parte dell’ACIT e dall’afflusso in Africa Settentrionale delle Divisioni Bologna, Folgore, Pistoia, 164^ Tedesca, Brigata paracadutisti Ramcke, 19^ Divisione c.a. tedesca. Ma Rommel, come ebbe egli stesso a scrivere nelle sue memorie, non poteva neanche lontanamente immaginare l’entità delle forze che nel contempo i Britannici stavano ricevendo.

La seconda soluzione, cioè lo spostamento delle fanterie su posizioni retrostanti più ravvicinate, da preorganizzare e attuare nell’imminenza dell’inizio dell’offensiva britannica, rappresentava un logico e razionale compromesso una volta scartata – per esigenze di ordine politico e psicologico – la prima soluzione, ripiegamento sul ciglione di Sollum-Halfaya. Il costone di Fuka, 100 km più ad ovest di El Alamein, costituiva un ottimo appiglio tattico per le fanterie. Ma anche questa soluzione di compromesso. che avrebbe salvato le fanterie, non fu proposta nè sostenuta da Rommel che non ritenne, come egli stesso dice, di potersi assumere la responsabilità di spostare il peso principale della lotta difensiva su operazioni in campo aperto, ciò in quanto:

  • primo: il rapporto tra le proprie forze motorizzate e corazzate e quelle di fanteria era tale da imporre una condotta delle operazioni nella quale anche le formazioni di fanteria avessero immediatamente un peso;
  • secondo: la scarsità cronica di carburante poteva troncare d’improvviso le possibilità operative delle unità corazzate e motorizzate;
  • terzo: la superiorità aerea britannica imponeva notevoli limitazioni all’impiego su ampi spazi delle unità corazzate e motorizzate.

La soluzione di una tempestiva sottrazione delle fanterie all’attacco del nemico e loro ripiegamento su posizioni più arretrate avrebbe quanto meno imposto lo spostamento del dispositivo di attacco britannico e il rinvio ad altra offensiva dello scontro decisivo anche se probabilmente nulla alla lunga sarebbe cambiato.

La terza soluzione, cioè quella di non abbandonare le posizioni raggiunte e di sostenere una battaglia difensiva in posto rimaneva l’unica accettata da tutti, a tutto vantaggio dei Britannici, superiori in forze, mezzi e potenziale logistico ed il cui piano Lightfoot si basava proprio sul presupposto che le truppe dell’Asse non solo avrebbero accettato la battaglia ma si sarebbero impegnate a fondo, sulle posizioni di El Alamein, in un’azione di usura che le avrebbe portate all’esaurimento. Dunque, mentre da una parte Rommel decideva di attendere sul posto l’urto nemico, dall’altra Montgomery elaborava un piano basato sul presupposto che l’ACIT accettasse battaglia e combattesse fino alla fine.

Ma la difesa ad oltranza su posizioni organizzate, oltre all’ostacolo presuppone la disponibilità di una gran massa di fuoco d’arresto e manovrato, nonché di adeguate riserve settoriali e generali in modo da poter logorare e arrestare l’avversario, eliminare le inevitabili piccole infiltrazioni con reazioni locali immediate e recidere con massicci contrattacchi le penetrazioni che, progredendo malgrado le reazioni locali, minacciano di provocare vere e proprie rotture del fronte. L’ACIT invece accusava una netta inferiorità di fuoco terrestre ed aereo e scarse riserve corazzate, talché reazioni settoriali e generali erano affidate alle stesse unità con conseguile negative sul piano morale e tattico, in quanto gli schieramenti non potevano non risentire dei riflessi negativi derivanti dal duplice compito da assolvere.

Anche l’ostacolo, basato prevalentemente su mine anticarro data la scarsa disponibilità di mine antiuomo, poteva essere disattivato con relativa facilità. Per ovviare a tale carenza, al posto delle mine antiuomo erano stati interrati proietti di preda bellica telecomandati a distanza.

Le forze dell’Armata corazzata italo-tedesca

In conseguenza del piano operativo adottato la sera del 23 ottobre le forze dell’Armata corazzata Italo-tedesca in Egitto erano così schierate:

in prima schiera:

  • a nord (tra il mare e la depressione di El Mireir inclusa) il XXI Corpo d’Armata (Generale Gloria fino a mezzogiorno del 26 ottobre, successivamente il Generale Navarini): 7° reggimento bersaglieri e Divisioni di fanteria “Trento” e “Bologna”, 164^ divisione germanica e due battaglioni della Brigata paracadutisti “Ramcke”;
  • a sud (fra la depressione di El Mireir e Qaret el Himeimat) il X Corpo d’Armata (Generale Frattini fino al 26 ottobre poi il Generale Nebbia): Divisioni di fanteria “Brescia”, “Folgore” e Pavia”, due battaglioni della Brigata paracadutisti “Ramcke”;

in seconda schiera: le Divisioni corazzate “Littorio” e 15ª germanica nel settore Nord; “Ariete” e 21ª germanica in quello Sud;

in riserva d’Armata: due divisioni, entrambe nel settore Nord: la 90ª leggera germanica (a cavallo della rotabile costiera fra Ras Gibeisa a nord-est di Sidi Abd el Rahmam – e Ras el Kanayis) e la Divisione motorizzata “Trieste” (anch’essa a cavallo della rotabile fra Ras Abu Girab ed Habu Haggag, a sud di Ras el Kanayis).

Le Grandi Unità di seconda schiera e di riserva erano inquadrate nel XX Corpo d’Armata (Generale De Stefanis) e nei D.A.K.

Inoltre, più ad occidente:

  • il 580° Reparto Esplorante tedesco era adibito alla sorveglianza del settore Marsa Matruh-Sidi el Barrani, già tenuto dalla Divisione “Pavia”,
  • aliquote della Divisione “Pistoia” si stavano concentrando nella zona di Bardia;
  • la Divisione “Giovani Fascisti” con il rinforzo di qualche reparto tedesco presidiava l’oasi di Siwa;
  • la Divisione fanteria “La Spezia”, stava per ultimare il suo trasferimento, per aviotrasporto, dalla madrepatria alla Tripolitania.

L’organizzazione difensiva italo-tedesca

L’organizzazione della difesa rispondeva al criterio di logorare l’attaccante con il fuoco, oltre che con l’ostacolo, durante l’attraversamento della fascia minata, e di arrestarlo col fuoco e con il movimento il più a lungo possibile davanti alla linea di resistenza allo scopo di dare il tempo necessario alle unità corazzate di intervenire con contrattacchi tempestivi e nelle condizioni più favorevoli dovunque si manifestasse una falla o un cedimento.

Tenuto conto della scarsità delle forze in relazione all’estensione della fronte, la duplice reazione di fuoco e di movimento imponeva la necessità di avere tutte le forze disponibili proiettate tn avanti: le fanterie, per assicurare una prolungata resistenza in posto, previa l’organizzazione di posizioni molto solide sulla linea di resistenza; le artiglierie divisionali, per poter battere il terreno antistante la linea di sicurezza e la fascia dei campi minati; i battaglioni di 2° scaglione, ove esistenti, per le reazioni di movimento nell’immediato rovescio della linea di resistenza; le unità corazzate, per i contrattacchi più massicci dovunque la minaccia si profilasse grave e pericolosa.

Il sistema difensivo italo-tedesco era, nel suo compresso, ben congegnato, anche se non mancavano lacune dovute essenzialmente a deficiente disponibilità di materiali di rafforzamento. Tali lacune, comunque, non erano così gravi da infirmare la solidità del sistema nel suo insieme che, appoggiato da una parte al mare e dall’altra alla depressione di El Qattara, non aveva fianchi esposti ed aggirabili, sì che il nemico era costretto ad azioni di forzamento e di rottura, solo in seguito alla riuscita delle quali poteva tendere a sviluppare manovre di aggiramento.

I salienti del Sanyet el Miteiriya e di Deir el Shein, nel settore centro-meridionale, e di Deir el Munassib, in quello meridionale, offrivano condizioni favorevoli all’attacco, mentre la difesa poteva avvalersi dell’appoggio d’ala dei corrispondenti rientranti di Kidney (a nord) e di Bab el Qattara per operazioni in contromanovra delle unità mobili sui fianchi delle colonne attaccanti.

Ben meno efficiente era il sistema in relazione alle forze attive disponibili per il suo presidio. La scarsità di queste, tanto come numero di reparti quanto come numero di effettivi in ciascun reparto, portava inevitabilmente ad un disseminamento lungo l’intero fronte, la cui estensione assorbiva ogni disponibilità di personale ed armamento, a tutto detrimento delle unità di riserva che, nella totalità dei casi, avevano una consistenza che raggiungeva, nelle condizioni più favorevoli, 1/8 della forza complessiva dei settori (laddove è noto che i criteri tattici dell’epoca fissavano ad almeno 1/3 delle forze complessive, le relative riserve).

Va inoltre ricordato che la profondità di molte sacche minate raggiungeva i 4 km: inconveniente grave ai fini del loro controllo, perché dal margine posteriore di esse era praticamente impossibile intervenire, tranne che con azioni di artiglieria, per impedire o disturbare il lavoro di sminamento che l’avversario poteva effettuare nella fascia marginale anteriore. Altro inconveniente grave era la mancanza di camminamenti di congiungimento fra ricoveri e postazioni e la generica assenza di protezione per i comandi delle GG.UU. che si affidavano, per essa, all’interramento ed al disseminamento degli automezzi.

In sintesi le forze dei contendenti erano schierate secondo i seguenti criteri:

  • quelle dell’8^ Armata britannica in modo da esprimere una decisa gravitazione a nord con le unità di 1^ schiera e con le unità di 2^ schiera e di riserva;
  • quelle dell’Armata corazzata italo-tedesca in modo da esprimere una gravitazione sulle ali con le unità di prima schiera, mentre la riserva era articolata in due aliquote pressoché paritetiche, una dislocata nel settore nord ed una nel settore sud. Ciò nella convinzione che l’attacco principale dell’8^ Armata si sarebbe sviluppato contro il settore centrale più debole e quindi la riserva avrebbe potuto serrare le forze attaccanti con un contrattacco concentrico di grande efficacia.

I rapporti di forze e di potenza

Il rapporto tra le forze contrapposte è decisamente a favore dell’8^ Armata britannica, sia se lo si riferisce al numero delle Divisioni, sia, in modo ancor più evidente, se lo si riferisce al numero dei battaglioni e alle rispettive costituzioni organiche.

Raffronto tra i battaglioni:

 

  • numerico:

                               Forze Italiane   Forze germaniche       Totale           Forze Britanniche

Btg, fanteria                      42                         27                      69                     78

Btg. mitraglieri                    0                            1                        1                      8

  • potenziali operativi:

                                                   Battaglioni italiani                     Battaglioni inglesi

Forza                                                     450                                           800

Armi automatiche                                     22                                           120

Mortai                                                         0                                             22

Armi c/c                                                     18                                            25

Automezzi                                                  12                                  78 (21 cingolati)

  • raffronto tra i potenziali operativi delle Divisioni:

                                            Divisione fanteria                    Divisione fanteria

                                                     italiana                               britannica

Forza complessiva                            7.000                                 16.000

Armi automatiche                                 248                                  1.500

Mortai                                                     18                                     220

Pezzi artiglieria campagna                     48                                       72

Pezzi artiglieria c/c                                 72                                     136

Pezzi artiglieria c/a leggera                    16                                       48

Automezzi                                             360                      2.550 di cui 256 cingolati

  • raffronto tra disponibilità totale di artiglierie, carri armati, autoblindo:

                                         Forze Italiane  Forze germaniche  Totale  Forze britanniche

Pezzi a. campagna                   371                    200                571               939

Pezzi c/c leggeri                       150                     300               450                   

Pezzi c/c pesanti                         –                         72                 72             1.506

Pezzi c/a pesanti                                                                                            764

Pezzi c/a leggeri                        750                    600             1.350                 48

Carri armati                                259                    238                497            1.348

Autoblindo                       poche decine                                                           500